LE CAMERE IN CONTROCAMPO


In una riunione ho detto che alcuni colleghi hanno problemi nella rappresentazione degli spazi nel campo e la mia affermazione ha suscitato sconcerto.
Io credo che lo spazio e il tempo siano i fondamentali delle riprese in diretta dello sport. Anni fa (cfr.Seminario alla stampa estera, Capri 1990) proposi una formula, a segnalibro della nascita del calcio televisivo:

110 x 70 x 90 (circa)

dove 110 x 70 sta per le dimensioni medie di un campo di calcio e 90 minuti per la durata media di una partita.
Volevo dire che fino a quando le tecnologie e le modalità di ripresa del calcio non hanno conseguito la visione dell’intero terreno di gioco e per l’intera durata della partita, fino a quel momento non si può parlare di partita televisiva. La partita televisiva nasce con la corretta e integrale rappresentazione del campo di gioco per l’intera durata della partita.
Veniamo al problema. Cosa sta succedendo da qualche tempo?
Nell’uso delle telecamere, molti registi (più in Italia che in Europa) non riescono più a rappresentare coerentemente la posizione dei giocatori in campo a causa dell’uso delle camere in controcampo.
Non ci riescono o sottovalutano il problema o non se ne curano.
Io credo nella “molteplicità dei punti di vista”: la considero il terzo principio della televisione. La tv ti permette di vedere un avvenimento distante da te (1°) nel momento stesso in cui avviene (2°) e da più punti di vista (3°). Quindi, la molteplicità dei punti di vista è una ricchezza della televisione (così come lo è la possibilità di ri-vedere l’azione con il replay e di analizzarla con il rallenti, attraverso una nota operazione che avviene sull’asse del tempo).
Allora dov’è il problema? E’ nella realizzazione degli spazi del campo. Per esempio, il problema nasce quando, con una camera sul fronte opposto:

  • colloco il rilancio del portiere dal lato e dalla porta destra, mentre sul fronte di ripresa l’ho sempre visto a sinistra;
  • dopo un gol convalidato, vedo l’arbitro dirigersi verso la porta invece che a centro campo;
  • dopo un’azione in porta, vedo un giocatore che va verso il centro campo e un secondo verso la porta, mentre nella realtà stanno procedendo entrambi nella stessa direzione;
  • prima di un tiro di punizione con barriera, mi accorgo che il portiere sta dando indicazioni in direzione diversa da dove è sistemata la barriera;
  • quando con una sky-cam vado a vedere il tiro dal corner a destra del campo mentre sta avvenendo a sinistra…

e così via, in decine e decine di casi, sbagliando sostanzialmente la rappresentazione dello spazio nel campo.

Mi ha obiettato un collega: “Ma io lo so che ho capovolto il campo?” Peggio! Il capovolgimento di campo è un errore non solo nella esecuzione tecnica ma anche nella concezione dello spazio! E la seconda confusione è peggiore della prima! Con la prima non riesci a costruire lo spazio del campo di gioco, con la seconda non ne hai la concezione o ritieni che non sia importante.
Su questa seconda ipotesi un altro collega considera: “Ma la gente di accorge di questa sofisticazione!
Chiedetelo ai telespettatori. Per quanto ne so, quando il portiere che ho sempre visto a destra batte il rilancio da sinistra, quando l’arbitro dopo il gol va verso la porta invece che a centro campo, quando il corner viene battuto sull’area di casa invece che in quella dell’avversario... al telespettatore un certo fastidio gli prende.
Se non altro il sospetto di essere preso in giro.

 

P.S. Che bel tema sarebbe questo se fosse possibile affrontarlo scientificamente! La natura “simbolica” o “realistica” delle immagini è un tema intrigante. Io credo (seguo il “semiologo dilettante” Pasolini) che la radice del segno immagine sia la realtà e lo sia ancor di più nel caso delle immagini di un evento di attualità, com’è nel nostro caso. Poi può succedere che la realtà assuma valore simbolico e quindi che la sua immagine o la sua costruzione per immagini diventi simbolica.
Faccio un’altra ipotesi: posso anche ritenere che l’intera rappresentazione televisiva della partita si possa intendere come “immaginaria”, nel senso che non stiamo parlando della esperienza diretta della partita allo stadio bensì della sua rappresentazione televisiva. (Il titolo, non mio, del mio primo saggio sul calcio è “La partita immaginaria”, proprio perché parlavo della partita televisiva e non di quella reale!)
Secondo questa ipotesi, anche lo spazio è “immaginario” e questo potrebbe indurmi ad una sua ricostruzione “immaginaria” ma… ritengo che il vincolo delle immagini con la realtà non si possa scindere, se non a scapito di una generale perdita di senso.

(maggio 2012)
 

Giancarlo TOMASSETTI

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