UNO SGUARDO ALL'INDIETRO

COMPLETO

Ho goduto della condizione privilegiata di chi ha svolto una attività creativa; un lavoro che ha poco a che vedere con l’estetica o l’arte, poco con la scienza, ma ha una spiccata vocazione per la progettualità e per l’idea stessa di progetto. Devo riconoscere all’Azienda per la quale ho lavorato di avermi offerto le migliori opportunità professionali nelle dirette sportive, affidandomi le regie internazionali per un lungo arco di tempo. Qualcuno riconoscerà, d’altra parte, che io non mi sono limitato a svolgere bene il mio lavoro; ho invececòlto questa possibilità per condurre una riflessione sul tipo di regia che mi è capitata. Ho contribuito molto a migliorare e codificare le riprese dello sport e ne ho lasciato qualche traccia teorica pubblicata in alcuni saggi. Provo a riassumerle in modo “semplice ed elegante”, non dimenticando ciò che mi disse un collega: “Che strano modo di intendere la regia!”

La ricerca mi ha innanzitutto consentito di capire i SISTEMI DI RIPRESA di regia. Li ho già trattati in questo sito e nei miei due libri e mi limiterò a citarli: il Sistema sequenziale, il Sistema sull’asse centrale, il Sistema ad estrapolazione.

Semplicemente: posso guardare questo panorama partendo dal paese, scendendo a valle e risalendo le montagne. Oppure posso guardare il paese e concentrarmi sul campanile della chiesa. Oppure posso distinguere la valle, dalle montagne e dal paese in tre cartoline distinte. Tradotto in ripresa televisiva, la prima è una ripresa sequenziale, la seconda si svolge sull’asse centrale e ho definito la terza ad estrapolazione. In momenti diversi, ogni ripresa televisiva dello sport in diretta può essere ricondotta ad uno di questi tre sistemi. Più precisamente, in momenti diversi, uno di questi tre sistemi è il sistema principale e un altro o gli altri due fungono da sistemi subordinati.


Guardando più da vicino le discipline sportive e i giochi di squadra, all’epoca fu innovativa la ricerca titolata SEMIOLOGIA ELEMENTARE DEL CALCIO e le sue conclusioni circa l’Alfabeto delle inquadrature e i modi della loro
Grammatica. La Semiologia elementare ha costituito la base teorica del Mondiale di calcio 1990.

Svolsi questa ricerca nell’estate del 1987, in un centinaio di pagine, arrivando a due conclusioni:

Circa l’ALFABETO: per riprendere una partita di calcio, all’interno del rettangolo di gioco, bastano un dozzina di inquadrature. Sono le seguenti: il gioco collettivo, il gioco individuale, chi tira la palla, chi aspetta la palla, chi ha fatto il fallo, chi l’ha subito, l’arbitro, chi mette fuori la palla, chi la rimette in gioco, chi entra in campo, chi esce.
 
Circa la GRAMMATICA: queste inquadrature rispondono a tre modalità grammaticali e realizzano un algoritmo per ogni situazione di gioco.
1) L’azione di gioco, il gioco con palla in movimento, si realizza nell’alternanza del totale-campo stretto, in asse o no, purché sul fronte di ripresa.
2) La ripresa del gioco (per es. il corner o il rilancio del portiere) può partire con una inquadratura non sull’asse centrale ma deve poi ricondursi a questa.
3) Il gioco con palla ferma (caso classico: il fallo) è più libero da vincoli di fronte e consente una maggiore libertà di ripresa.


Da dove venivo? Erano gli anni della semiologia e dello strutturalismo, della Nouvelle Vague e del “semiologo dilettante” Pier Paolo Pasolini, che studiavo e che mi aveva insegnato che la radice di ogni segno cinematografico era la realtà a cui faceva riferimento. Come regista ho sempre sentito l’insufficienza delle immagini rispetto alla forza della realtà. Però venivo dalla “lettura strutturale del film”, mi ero esercitato con le inquadrature per le discipline dei Mondiali di Atletica del 1987 (che erano già state codificate dal maestro finlandese Raimo Pils) e sapevo che le immagini potevano essere costruite e combinate con il computer. Avevo già chiara l’elaborazione di un terzo punto di ricerca: l’ALGORITMO DELLE RIPRESE.

Lavoravo sugli algoritmi di ripresa già dal Mondiale di Atletica dell’87 ma ne pubblicai le conclusioni solo nel 2004. Sono fondati su un presupposto semplice, che fa parte di una prassi del mio lavoro. Prima della diretta, il regista prende in esame con i cameramen tutte le inquadrature utili che si possono usare. Scolasticamente tradotto, vuol dire che: dato un numero finito di telecamere, esse producono un numero finito di inquadrature utili, che si coniugano in un numero finito di combinazioni grammaticali (nella consecuzione obbligatoria del tempo reale!). Queste sono le possibilità offerte al regista dello sport (e questo segna anche il limite “artistico” del suo lavoro, che ha come obiettivo la chiarezza della disciplina e, solo dopo, la sua bellezza).

 
Usando parole forti, dirò che come regista mi sono occupato della “fenomenologia spaziotemporale” della realtà dello sport. Devo conoscere le regole della disciplina o del gioco di squadra e ne interpreto i due parametri fondamentali: lo SPAZIO e il TEMPO. Esemplificando molto, lo Spazio è quello definito dalle inquadrature e il Tempo è quello della diretta, ovvero l’equivalenza Tempo televisivo-Tempo reale. Il parametro tempo si arricchisce di un ulteriore corollario: la consecutività obbligatoria nello svolgimento dell’azione. Non può darsi, nella diretta, che il finale preceda le fasi inziali, il finish preceda lo start. Questo si dà solo nella fiction, nella ricostruzione dell’azione. Da questo fatto nasce una diversa, nuova ed esaltante aspettativa dello spettatore, che si traduce in una diversa drammaturgia del racconto televisivo. Ogni diretta sportiva partecipa a questa nuova drammaturgia.

E da questo momento, credo di dover passare dall’io della prima persona singolare ad un più corretto noi collettivo, a sottolineare che – in alcune operazioni - magari ho offerto solo l’input iniziale, frutto di una intuizione, a cui è seguito un coordinamento o una semplice realizzazione.

 
Lo SPAZIO DELL’INQUADRATURA. Ho sempre cercato spazi nuovi: credo di aver collocato per la prima volta una telecamera a bordo di una macchina di Formula 1. Successe nel 1985 nel GP di Imola, forse per la mia presunzione, certamente per le capacità tecniche del mio direttore di produzione (Dialmo Bellei), per la condiscendenza di un piccolo team (l’Osella) e il placet di un preveggente Bernie Ecclestone.

“Abbiamo pensato alla sicurezza, abbiamo il consenso del team, ma non possiamo scendere sotto i 5 kg di peso e non abbiamo nessuna idea dei regolamenti e dei vincoli della FOCA…” “5 kg in più non sono un problema…Basta dare 5 kg a tutti…!” Spesso il genio ha la fantasia di un bambino. Le prime immagini andarono in onda nel collegamento di Mario Poltronieri con il TG1 delle 13.30 mentre l’Osella usciva dai box e faceva il giro di pista per sistemarsi in griglia. Erano le prime, uniche, vere immagini in diretta. Non durarono molto: appena in corsa il sistema di ripresa dette forfait. Ci riprovarono altri, con migliore successo, nel GP di Germania di quell’anno.

PS. Ops! Ancora oggi vedete in F1 il tracciato del circuito con la posizione delle auto in pista! Lo elaborai (credo) nel 1986 chiamandolo “traduzione grafica dei tempi cronometrici”. Il direttore dell’autodromo di Imola, ing. Roberto Nosetto, divise la pista in 90 segmenti distinguendone la lunghezza tra curve e rettilinei e il responsabile Olivetti dell’epoca costruì il sistema (doveva sponsorizzare il nuovo computer M10). Tutt’altro sistema è quello di oggi: un trionfo di tecnologia!

Molti anni dopo, con un’altra equipe, producemmo una diretta con vere microcamere, montate sulle biciclette dei Giri d’Italia 1998 e 99. Approfittai delle ricerche della DRM di Franco Mazzon e del lavoro di Davide Cassani che convinse ciclisti e team ad accettare 350 grammi sul manubrio o sotto il sellino.

La prima microcamera in diretta fu montata sul manubrio di Cipollini e inquadrava Martinello che gli tirava la volata. Poi la telecamera superava Martinello e …arrivava al traguardo. (“Una telecamera vince a Lecce” titolò un giornale). Oggi, a quasi vent’anni, si stanno ancora cercando soluzioni organizzative per strappare il ciclismo dal medioevo della comunicazione sportiva.

Le soluzioni tecniche di oggi sono eccezionali e non sfruttate; all’epoca, la ricerca di nuovi spazi fu sempre un’avventura dagli esiti incerti. Ciò nonostante, nel calcio io ho messo una microcamera ad un arbitro prima del 1990 (e con risultati infausti); ho utilizzato microcamere ipogee nel ciclismo (1998) e telecamere azimutali sulla linea di arrivo dell’atletica (Genova 92); in tempi più recenti abbiamo collocato stupende microcamere a bordo delle Frecce Tricolori (Vinovo 2005). E pensare che le riprese in movimento sono sempre state un buco nella mia ricerca teorica!

Sembrerà una sofisticazione intellettuale: io non sono mai riuscito a capire la differenza vera tra una telecamera sull’atleta (una telecamera “agìta” , come la definì un mio studente) e la classica telecamera che vede l’atleta o l’azione dall’esterno, nello spazio che ho definito euclideo. Quale è la differenza? Ancora non lo so: ho lavorato senza alcuna chiarezza.

Sarebbe troppo lungo solo accennare alla costruzione degli SPAZI SONORI, quelli scoperti (e più spesso ignorati) dai microfoni e che dovrebbero essere invece parte sostanziale delle riprese visive. Qui la ricerca latita e anche io non ho fatto molto.

Un florilegio di sensazioni contraddittorie! Continua a sorprendermi la finzione sonora su cui è costruita la partita di calcio (ricordo invece una partita a porte chiuse al vecchio comunale di Torino in cui, nel silenzio degli spalti, il microfono della telecamera mobile rivelò la realtà cruda delle panchine). Ricordo gli spazi creativamente finti delle arie d’opera con cui ho accompagnato il passaggio dei ciclisti tra le scenografie prese in prestito dall’Arena di Verona nel Mondiale 1999; la meccanica gioiosa delle bande militari e il gioco astratto delle inquadrature che ne seguivano la cadenza nella Festa del 2 Giugno. Di tutt’altra natura fu la sconvolgente verità di un radiomicrofono che sistemai sull’armo di Peppiniello di Capua ai premondiali di canottaggio all’Idroscalo di Milano (2002) e puntualmente vietato ai Mondiali a favore dello speaker di campo. La verità sonora del campo è inesplorata e multiforme. Molto spesso non è quella delle riprese TV.

 
E’ stata anche più interessante la ricerca che le riprese mi hanno offerto sul parametro del TEMPO, a partire dal convenzionale replay (che rompe la continuità temporale a favore della terza dimensione: l’approfondimento) con l’evidente rottura dell’assioma “tempo televisivo = tempo reale” che è a fondamento della diretta.
 
Ho indagato questa modalità approdando anche ad un ossimoro, una contraddizione in termini: la diretta rallentata. Al Mondiale di canottaggio di Milano del 2003 ho rallentato con un EVS il passaggio ai 500, 1000 e 1500 metri per specificare in diretta l’ordine dei passaggi. Ovviamente, quando rientravo sul tempo reale, gli armo erano qualche decina di metri avanti. Una curiosa e intrigante asincronia!
 
Nella riflessione sul tempo delle riprese sportive, ho conseguito i risultati più efficaci con due “sistemi”; li ho chiamati rispettivamente SISTEMA DI PREAVVISO e SISTEMA DI RITARDO. Due operazioni sul parametro tempo. Di cosa si tratta?

“Il vostro regista è un vero esperto della disciplina. Non sbaglia un atleta!” Ai Mondiali di sci nordico del 1991 in Val di Fiemme, gran parte delle gare era a cronometro, con partenza degli atleti a 30”…una gran confusione tra partenze, passaggi agli intermedi e arrivi per un centinaio di atleti per ogni gara. Io non avrei saputo quali atleti seguire (anche perché non li conoscevo)….

Come ho risolto? E’ una operazione che ancora oggi spiego mostrando il palmo di una mano: il pollice è la partenza, le tre dita centrali sono le tre postazioni cronometriche intermedie, il mignolo è l’arrivo. Poiché partenza ed arrivo sono visualizzazioni obbligatorie, si tratta di andare sulle postazioni intermedie prima che passino quegli atleti che hanno i tempi migliori. Ma come fare a saperlo prima che arrivino? Ho sovrapposto la seconda mano e l’ho ruotata in senso antiorario rispetto all’altra: sarebbe bastato mettere un cronometro un centinaio di metri prima della postazione cronometrica ufficiale per avere una attendibile previsione del risultato al passaggio dell’atleta. Nelle conferenze preparatorie dei Mondiali successivi si parlò di “Sistema Italiano”. Oggi la disciplina ha ridotto di numero le gare a cronometro ma il Sistema italiano è ancora in uso e funziona perfettamente, anche nelle gare di Biathlon e nel Ciclismo a cronometro! Bastava solo pensarci.
 
Tutt’altra storia è quella del SISTEMA DI RITARDO….

Io ricordavo il marchingegno con cui i nostri tecnici avevano affrontato negli Anni 80 il pericolo di una falla nel nastro di registrazione delle Tribune Politiche. Stabilirono un intervallo fisico tra la testina di lettura del nastro e quella di trasmissione: il tecnico guardava il primo monitor sapendo che – in caso di scrosci - sarebbero andati in onda solo dopo qualche secondo. In quel lasso di tempo commutava su una seconda coppia di macchine in passo con la prima. Queste – verosimilmente – erano esenti dal difetto. Questo avevo in testa: ma come affrontare gli scrosci che affliggevano le riprese in movimento del Giro d’Italia prima che accadessero? Posi il problema ai tecnici che mi risposero senza esitazione: sarebbe bastato far passare i segnali di moto ed elicottero in un EVS e dare loro il ritardo voluto. Cosa avrei fatto in regia? Io controllavo la corsa sulle immagini in diretta e il mixer mandava in onda quelle ritardate; se vedevo uno scroscio sulla moto 1 avevo due secondi di tempo per staccare su un’altra moto o sull’elicottero per evitare che quello scroscio andasse in onda. Con questo sistema ho ripulitol’80% delle riprese in movimento.
 
 
Ho avuto la fortuna, soprattutto negli Anni 80 e 90, di partecipare alla elaborazione dei modi di ripresa delle maggiori discipline sportive (lo sci, la Formula 1, il Ciclismo, l’Atletica, il Calcio, tra gli altri: in totale di una ventina di Campionati Mondiali, Europei e Olimpiadi). Sperimentare in una disciplina mi dava la possibilità di trasferire ad un’altra i risultati della prima confrontandomi con le Federazioni Internazionali. Era successo con il sistema di preavviso, nato nello sci di fondo e portato nel ciclismo a cronometro. Lo stesso sistema mi consentì di realizzare in diretta la discesa dei Mondiali di canoa (Val di sole, 1993) che tradizionalmente venivano registrati su cassetta, montati e mandati in differita. Avevo tentato la stessa operazione ai Mondiali di ciclocross (Ciocco 1991) ma non mi era riuscita per la difficoltà di far uscire i segnali dal bosco. Mi andò invece bene con il Mondiale (Cortina 2000) di quella curiosa disciplina che si chiama Tiro con l’arco di campagna. Erano tutte discipline sportive che era impossibile realizzare in diretta, con una evidente perdita di interesse. Non parlo degli Anni 2000 e 2010, ma 80 e 90.
 
All’epoca era ancora possibile inventare. Al punto che l’aspirazione (presuntuosa e inconfessata) di molti registi era di incidere sulle riprese televisive con soluzioni non consuete, capaci di modificare le ancora deboli convenzioni di ripresa. Perché di questo si tratta: le riprese sono una convenzione, come il linguaggio, e la convenzione – specie se fondata sui modi del guardare (vedi i Sistemi di ripresa) - sono difficili e spesso è inopportuno rimuoverle, pena la chiarezza stessa della comunicazione. Per il Mondiale messicano del 1970, Robert Kenny dovette rinunciare a rompere il monopolio della camera in tribuna a favore di due camere all’altezza dei 16m (recuperarono poi una funzione per la verifica del fuori gioco e gli fu concesso di posizionarne due sul terreno di gioco). Io non sono mai riuscito a provare un diverso fronte di ripresa nel calcio, dall’attuale asse orizzontale del campo a quello longitudinale. Sperimentalmente, mi sarebbe piaciuto collocare le due camere principali alte sulle curve dello stadio e passare dall’una all’altra con una camera a centro campo. Questa ripresa (ritenevo) avrebbe fatto vedere una partita diversa, avrebbe esaltato il movimento di attacco delle squadre verso le porte (cosa che è chiara per lo spettatore in campo e non per quello televisivo) e avrebbe dato assoluta chiarezza del tiro e del gol (cosa che non possono fare le camere ai 16m). Non mi è mai riuscito (pensate solo alla cartellonistica!). Però…

…ce l’ho fatta nella pallanuoto, nel 2001, alla piscina Scandone di Napoli. In occasione di un Memorial, una partita non inserita in Campionato, ho posizionato le camere principali alte dietro le porte e una camera sul fronte principale in campo stretto, per il passaggio dall’uno all’altro fronte. Ho giustificato la scelta per evitare i fastidiosi riflessi di luce sull’acqua, che sono un grave problema in molte piscine. Ho ottenuto quanto volevo: vedere bene la spinta della squadra.

Rispetto agli Anni 80 e soprattutto dopo la rivoluzione digitale della fine del secolo, le riprese televisive, il loro mercato, le loro tecnologie, l’organizzazione produttiva e lo stesso concetto di regia sono profondamente cambiati. Oggi prevalgono le offerte di facilities; il linguaggio di ripresa risponde invece a standard internazionali già codificati, validi in tutto il mondo e per i quali non è facile prevedere modifiche radicali, almeno fino alla prossima rivoluzione tecnologica. Io, come i colleghi e i tecnici più anziani di me, ho avuto invece la fortuna di vivere un’epoca in cui era possibile il progetto, la ricerca, la sperimentazione, l’innovazione. Qualcosa, nelle nebbie della memoria, sarà pure rimasto. Anche se oggi, che ho settanta anni, ho la sensazione di parlare di una bella storia di …archeologia della regia! 

Giancarlo TOMASSETTI
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