PUNTO DI RICERCA
Ancora sullo SPAZIO


Uno degli aspetti più affascinanti del rapporto tra spazio reale e  spazio televisivo è quello che ci viene dalla funzione che ho indicato come “referente” o “interprete” della televisione.

Esemplifichiamo: il quadro che ci viene consegnato dalla telecamera “riferisce” una porzione di spazio reale, ovvero “interpreta” per noi una parte dell’intero, scegliendola e tagliandola in un certo modo. Ancora di più, la sequenza delle inquadrature “interpreta” uno spazio reale tramite uno spazio televisivo complesso, frutto di scelte e di coniugazioni di inquadrature, di movimenti di camera o di zoom.

Ritorniamo al problema: quale è il rapporto tra lo spazio televisivo creato dalle scelte del regista e quello reale percepito dall’osservatore? La televisione può ricreare per intero e autonomamente un nuovo spazio o deve comunque riportarsi allo spazio reale dell’osservatore, rendendolo riconoscibile, come se il telespettatore fosse sul posto?
Capirete che siamo al centro dell’antinomia “televisione referente”/ “televisione interprete”. Ne va dello stesso linguaggio della televisione in diretta: possiede essa un linguaggio autonomo, che può disancorarsi dalla realtà, oppure deve ricondursi alla realtà, che comunque riproduce con il suo peculiare linguaggio?

Non voglio farne una questione teorica (la lascio ai semiologi e ai linguisti) bensì assolutamente concreta, fino a porsi come operativa: che libertà ho (nei confronti del telespettatore), quale margine  ho, nella diretta di una partita di calcio, di costruire uno “spazio televisivo” disancorato dallo “spazio reale” del campo? Quante volte succede che al totale centrale della partita segua il campo stretto di una camera lato porta? O che, dopo un gol, il primo piano del giocatore venga colto con una camera in reverse angle? Era del tutto immotivata l’abitudine di segnalare con la didascalia “reverse angle” il replay riproposto da quella telecamera per far capire o per dichiarare un diverso punto di osservazione?
Restiamo a questi casi comuni (nelle partite sudamericane è del tutto normale che il giocatore che s’infila in area venga colto con la camera a lato della porta) e pensiamo anche che il semplice cambiamento dell’asse di ripresa – dalla camera alta centrale a quella bassa sui  16-20 metri – porta ad una “ri-costruzione” dello spazio che non è concessa allo spettatore reale. Quale è la “tolleranza” dello spettatore televisivo a questo improvviso cambiamento del punto di vista?

Ovviamente non metteremo in discussione la realtà del linguaggio televisivo. La televisione fa vedere una realtà “lontana” dal telespettatore e la fa vedere da “più punti di vista”: quindi con un proprio linguaggio. Il problema è di quale sia il limite della “libertà” di questo linguaggio, quanto esso possa essere autonomo rispetto alla realtà percepita.

Ritengo che sia questione di “accettazione” da parte del telespettatore (chi sarà poi il “telespettatore”?) il quale – presumo – vorrebbe, nello stesso tempo, concretamente essere a Wembley, ancorato alla poltrona in tribuna, ma disponendo di tutte le possibilità che gli offre la televisione (il cambio del punto di vista, lo zoom, la vicinanza al giocatore).
Operativamente, in regia, io curo la percezione complessiva dello spazio reale (e ancora di più quella del tempo reale); credo sia un errore disancorare la ripresa dalla percezione dello spazio reale. Per questo “consumo” i cosiddetti “tempi morti” con il totale centrale e limito l’uso dei campi stretti alla loro funzione. Alla fine dell’azione, stacco sul primo piano del protagonista per individuarlo e coglierne l’espressione, ma torno sul totale anche prima della ripresa dell’azione, rispettando tempo e spazio  reale. Allo stesso modo, dopo il gol e la festa, limito il numero dei replay e cerco di rivedere la palla al centro prima della ripresa del gioco. Non posso accettare che all’azione segua un lungo campo stretto del protagonista (colto di nuca) o che sei o sette replay (molti dei quali inutili) coprano un momento importante quale la ripresa del gioco con la palla al centro e la grafica del risultato.

 

UN TEMA DI RICERCA

Il “picture in picture”, lo spazio su spazio, per il tramite di una tendina è come il replay, che è tempo su tempo, tempo registrato su tempo reale.

Ma sappiamo molto di più del tempo televisivo/tempo reale che non dello spazio televisivo/spazio reale.

Quale “spazio” si ricostruisce effettivamente per lo spettatore?
 

Giancarlo TOMASSETTI

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