Giro d'Italia
Organizzazione delle riprese

Estratto dell'articolo pubblicato su Elettronica e Comunicazioni XLVIII.2 - Agosto 1999
 

COMPLETO

2. Il punto di vista del regista

2.1  Le origini

Il  ciclismo fin dalle origini è stato uno sport molto popolare, cui si assisteva appostandosi ai bordi delle strade o al traguardo. Oggi il ciclismo di cui si scrive e di cui la gente parla è quello visto in televisione; il suo fascino deriva anche dal fatto che nelle riprese televisive vengono utilizzate tecnologie fra le più moderne e sofisticate.

La percezione diretta e personale della corsa è un ricordo di chi era bambino nel dopoguerra, rinnovato oggi dalle folle plaudenti dei tapponi alpini: una lunga attesa sul ciglio della strada, una festosa carovana pubblicitaria, la staffetta della polizia, l’auto del direttore di corsa e poi tanti girini tutti insieme, una folata di vento seguita dalla fila di ammiraglie. E tutto era finito!

Ma la gara ciclistica, è del tutto evidente, non può essere vissuta per esperienza diretta, se non per qualche frammento. Fu l’avvento dei cinegiornali prima e della televisione poi a dare un senso a qualche fase della corsa. Chiaradia, il primo operatore RAI che seguì il Giro d’Italia a bordo di un’auto scoperta (una mitica spider azzurra), selezionava frammenti di gara che, pazientemente montati, avrebbero ricostruito la sintesi di un fatto già avvenuto. Quando arrivò la diretta televisiva, essa si limitava alla ripresa del vialone di arrivo per documentare, dopo una lunga attesa, l’esito finale di una corsa non vista.

Di che cosa si parla allora fino a quando non si alza il primo elicottero da ripresa? Del sentito dire, del riferito, del raccontato dai testimoni: ma lo spettacolo della corsa ciclistica, così come lo concepiamo ora, non era ancora nato.
 

2.2  Le riprese in movimento negli anni '80

Sono stato testimone (e corresponsabile) del ciclismo televisivo degli anni 80, un decennio appassionante durante il quale è avvenuta l’evoluzione dei sistemi di ripresa in movimento. Sull’elicottero della RAI, una libellula leggera che dal suo abitacolo trasparente consentiva una visione a 180 gradi, gli operatori lavoravano ancorati al seggiolino e con la telecamera sulla spalla. Qualcuno s’era fatto legare sotto la pancia dell’elicottero, ma l’esperimento venne presto vietato.

FOTO 1: Elicottero ponte con ElevisionNel 1982 l’aeromobile ospitò il sistema “elivision”: si trattava di una sorta di forcella sulla quale era appoggiata e bilanciata la telecamera. La mancanza della portiera favoriva l’installazione dell'apparecchiatura; ma qualche operatore andò in crisi, non avendo più il suo strumento di lavoro appoggiato sulla spalla.

L’unico elicottero in volo ospitava la telecamera per la ripresa e le apparecchiature di ricezione per i segnali delle due moto che seguivano la corsa e la loro trasmissione al punto intermedio di terra (foto 1). La copertura da elicottero e moto era il risultato di un difficile compromesso: l’elicottero doveva stare in quota per essere in vista dal punto di ricezione a terra e offrire alle moto un cono di copertura che consentisse loro di distanziarsi l’una dall’altra. Ma, salendo, impediva una buona ripresa alla telecamera che aveva a bordo. Le difficoltà legate all’orografia ed alla situazione meteorologica facevano il resto.

Mediamente si riusciva a coprire 30 Km di corsa e le moto non potevano distanziarsi molto tra loro. In caso di distacchi consistenti, era l’elicottero a fare da “elastico” coprendo alternativamente la moto sul fuggitivo e quella sugli inseguitori, lasciando al buio ora l’una ora l’altra. La rigidità del sistema era evidente.

Con il Giro d’Italia del 1984, potemmo finalmente disporre di mezzi più adeguati: un primo elicottero ospitava la telecamera, mentre un secondo elicottero fungeva da ponte per i tre segnali provenienti dalle due moto e dall’elicottero di ripresa. L’elicottero ponte poteva fare quota mantenendo sotto il suo ombrello le tre telecamere, che potevano muoversi liberamente sotto un cono più ampio. Come risultato avemmo le migliori (e dal mio punto di vista ancora insuperate) riprese aeree. La leggerezza del mezzo, la sua manovrabilità, la capacità dei piloti, la bravura dei nostri tecnici e dei nostri operatori ci dettero, da quel momento e fino a quando non cambiarono le regole del volo, le migliori riprese in Europa.

Gli investimenti per mantenere il nostro primato non si arrestarono: per i campionati del mondo di ciclismo del 1985, nel Veneto, potemmo contare su due elicotteri ponte. Con il primo gestivamo i tre segnali provenienti dall’elicottero di ripresa e dalle moto; il secondo poteva coprire una terza moto da ripresa, libera di muoversi dove fosse opportuno. Per la prima volta mettemmo in corsa un telecronista a bordo di una quarta moto.

FOTO 2: Elicottero da ripresa con WescamDerivata da tecnologie militari, alla fine del decennio comparve la Wescam, una palla ancorata a lato dell’aeromobile, che ospitava e manteneva stabile la telecamera (foto 2). Il vantaggio di riprese stabili e di zoom più spinti fu evidente, in una situazione in cui però si erano prodotti dei fatti svantaggiosi per le riprese aeree: cambiarono infatti, per motivi di sicurezza, gli elicotteri; cambiò il sistema di lavoro dei piloti, costretti a tenere quote più alte, e degli operatori che, chiusi nell’abitacolo, manovravano la telecamera tramite dei joy-stick e non avevano più la possibilità di guardare a terra per vedere cosa succedeva fuori del campo di ripresa. A ciò si aggiunsero le difficoltà di disponibilità delle frequenze, dovute all’occupazione selvaggia dell’etere.

La nostra libellula aveva terminato il suo volo sulle strade del Giro e tornava da dove era venuta: dal servizio civile, soprattutto in montagna, e dal lavoro di irrorazione dei campi. Presero il suo posto dei potenti biturbina carenati e dotati dei sistemi per il volo strumentale, gli unici autorizzati a sorvolare i centri abitati. Con queste apparecchiature, ulteriormente arricchite, la RAI affrontò l’ultimo grande avvenimento di ciclismo internazionale: i mondiali di Sicilia del 1994. Per garantire la copertura aerea integrale della corsa, il primo elicottero ponte raccoglieva i segnali della Wescam e delle due moto da ripresa; il secondo elicottero ponte, che copriva la terza moto da ripresa, fu anch’esso dotato di Wescam, garantendo così la ripresa aerea anche durante il rifornimento del primo elicottero. Il sistema era completato da due moto cronaca in corsa.

Questa avventura tecnologica ed umana, alla quale hanno dato un contributo di intelligenza e di passione alcuni dei migliori tecnici della RAI, oggi quasi tutti in pensione, aveva dato i suoi frutti migliori a metà degli anni ‘80, quando fummo vincenti nell’uso delle tecnologie e nella capacità di saper raccontare il ciclismo con le immagini. Tecnologia ed artigianato di ripresa: un binomio tutto italiano. Poi nel 1993 il Giro d’Italia passò alla Fininvest, che utilizzò mezzi e personale di ripresa francesi e dedicò alle riprese maggiore spazio nel palinsesto. Infine nel 1998 il Giro d’Italia è tornato alla RAI ed il confronto ci ha costretto a rinnovarci drasticamente.
 

2.3  Semiologia elementare

C’è una differenza evidente, per il telespettatore, tra una telecamera su cavalletto ed una telecamera mobile. La prima ti fa vedere come Schumacher affronta la curva; con la mobile sali sulla Ferrari. Le camere fisse sono finestre aperte sulla realtà. Le camere mobili portano lo spettatore dentro l’avvenimento sportivo.

Quale sia la differenza tra telecamera fissa e telecamera mobile per l’operatore o il regista, per coloro cioè che costruiscono il linguaggio di ripresa ed il racconto, è un po’ più complicato a dirsi. Ne abbiamo liberamente parlato durante uno stage, a gennaio 1998, tra operatori, registi ed esperti di ciclismo. Abbiamo esaminato le differenze tra inquadrature da camera su cavalletto e piani-sequenza da camere mobili, le possibilità di stacco tra i diversi segnali mobili, la possibilità di visualizzare il distacco tra fuggitivi e gruppo inseguitore. Abbiamo approfondito la diversa qualità delle immagini che produce una disciplina immersa nel paesaggio (con i suoi contenuti urbanistici, architettonici e naturali) e influenzata dalle condizioni meteo. Abbiamo visto come le immagini da elicottero leghino la corsa al territorio, mentre quelle da moto descrivano meglio le caratteristiche tecniche del percorso e le performance degli atleti.

In gara, dato lo schieramento dei mezzi, le regole elementari di ripresa prescrivono che la moto 1 preceda il gruppo in attesa dello scatto, la moto 2 sia sui primi per capirne le intenzioni, la moto 3 sia in coda a documentare ritardi, cadute, o a far la spola con le ammiraglie. Nel caso di fuggitivi ed inseguitori, la moto 1 è sui primi e la 2 sui secondi. L’elicottero raccorda le componenti della corsa, chiarendo posizione dei gruppi e distanze.

All’approssimarsi del traguardo, le moto abbandonano i ritardatari e accorciano la copertura; l’elicottero inquadra con particolare attenzione i primi 10 o 15 atleti che preparano lo sprint, accodandosi gli uni agli altri nella tipica formazione dei trenini. Ma come si coniugano tra di loro le immagini?

Le riprese in movimento sono “naturalmente" belle e semplici da gestire: esse sono legate a poche regole da rispettare attentamente, se si vuole conseguire chiarezza giornalistica ed eleganza di scrittura.

L’evidente essenzialità delle immagini di una partita di calcio (il giocatore, il contrasto, il movimento della squadra, perennemente collocati su un tappeto verde), le caratteristiche stesse del calcio come disciplina sportiva, inducono ad un montaggio serrato, a rapidi stacchi tra totali e primissimi piani, a replay immediati. La ricchezza, invece, di uno scalatore solitario che s’inerpica verso la cima, facendosi largo tra due ali di folla e avendo intorno a sé le Dolomiti, questa ricchezza di un paesaggio in continuo variare, consente di tenere il piano-sequenza molto a lungo, anche per un minuto. Consente anche di alternarlo con quello dell’elicottero, che pennella i tornanti descrivendo l’inseguimento del gruppo che si va sgranando giù a valle, per un altro minuto o anche di più.

Il calcio è jazz, il ciclismo sinfonia: di musica sempre si tratta, ma va suonata molto diversamente.
 

2.4  Le riprese al traguardo

Uno solo vince nel ciclismo, uno solo è ricordato. Sul filo del traguardo tutti gli altri contano solo per le classifiche.

La telecamera che in lungofocale inquadra il gruppo ondeggiante, il totale finale, è per tradizione e per necessità quella fondamentale nella ripresa del ciclismo. Non sorprenda, però, che la sua funzione sia quella di suggerire, piuttosto che di chiarire. Il regista prolunga volutamente l’incertezza sull’esito dello sprint finale. Se volesse svelare lo svolgimento, gli basterebbe staccare sull’elicottero: dall’alto tutto sarebbe chiarissimo, ma le emozioni non sarebbero così intense.

Otto telecamere all’arrivo ruotano intorno alla principale: la 1 e la 2 riprendono le ultime curve con inquadrature basse ad effetto, la 3 è in campo stretto sulla contesa dello sprint, la 4 in primissimo piano sull’ultimo sforzo, la 5 raddoppia l’inquadratura sul perdente, la 6 è sotto le tribune, appoggiata a terra, a fotografare dal basso in alto il vincitore a braccia alzate, la 7 e la 8, due radiocamere, raccolgono vincitore e sconfitto dopo il traguardo.

Un uso saggio dei replay ricostruisce l’ultimo chilometro, spiega lo sprint e regala le emozioni dello sforzo, della vittoria o della sconfitta.
 

2.5  Le microcamere

Cipollini vince a Lecce e, con lui, taglia il traguardo una microcamera montata sulla bicicletta! E’ accaduto nel 1998 per la prima volta al mondo in una corsa su strada.

Dal mio particolare punto di vista — quello della regia — io ritengo che la rivoluzione delle riprese televisive di questi anni stia passando sul doppio binario della miniaturizzazione delle telecamere e dell’invenzione di nuovi supporti. Sul fascio della moto 3 (collegamento ricezione-regia) si sono alternate due microcamere sulle bici o su di un’ammiraglia; all’arrivo, una microcamera montata su di uno speciale supporto ha dato l’emozione dei ciclisti visti da “sotto” l’asfalto.

Il senso complessivo di queste ricerche è nel superamento delle frontiere fisiche e nell’acquisizione di spazi nuovi per il giornalismo televisivo. Sempre più la corsa potrà essere vista da “dentro” al gruppo, o in soggettiva dell’atleta, o in colloquio con i direttori sportivi che seguono la corsa dalle ammiraglie, regalando emozioni ed intuendo strategie. Un progressivo trasferimento di microfoni e telecamere ai protagonisti diretti dell’evento sportivo.

Giancarlo TOMASSETTI

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