APPUNTI su PUBBLICITA’ E RIPRESE TELEVISIVE DELLO SPORT

per la Tesi di laurea di Gaia Mortellaro
(Università La Sapienza di Roma)


Il rapporto sport-pubblicità è un tema multidisciplinare complesso; io posso parlarne solo dal punto di vista che mi è proprio, quello della regia.

Credo di poter dire, oggi è abbastanza evidente, che lo sport attuale non esisterebbe senza lo sponsor o che, almeno, lo sponsor è una delle sue principali fonti di finanziamento. Di converso, possiamo dedurre quanto sport sia fortemente influenzato dalla pubblicità. Come?

La pubblicità condiziona i palinsesti televisivi. Tutti ci ricordiamo delle partite di calcio del Mondiale USA del 94 giocate a mezzogiorno per andare in onda in prima serata in Europa.

Allo stesso modo sappiamo che discipline ben definite nei tempi (come il calcio) o quelle sostanzialmente definite (come il basket) sono televisivamente preferibili a quelle che non hanno un preciso limite di tempo (come il tennis) o si giocano su un numero di set o periodi variabili (il volley). Allo stesso modo, discipline con intervelli e pause regolari sembrano fatte apposta per favorire gli inserimenti pubblicitari. Chi ci garantisce che le regole della disciplina o del gioco di squadra non siano suggerite o indotte dallo sponsor?

La stessa cartellonistica, tra le forme pubblicitarie, condiziona il modo di svolgimento o la struttura stessa del racconto televisivo.
Fate il caso di una corsa automobilistica o ciclistica o campestre, in circuito piuttosto che in linea. Il circuito favorisce l’esposizione pubblicitaria più volte durante la gara, mentre la corsa in linea offre una sola volta il traguardo. Una 50 km si può realizzare in linea o in un circuito di 25 km da ripetersi 2 volte o in un circuito di 10 km da ripetersi 5 volte. Con esiti di esposizione pubblicitaria completamente diversi.
Ho un caso recentissimo. Non più tardi di qualche giorno fa è stata fatta un’ipotesi di una maratona con un handicap di circa 20 minuti per gli uomini, per favorire un arrivo contemporaneo ed un probabile sprint uomo-donna. Ipotesi interessante sul piano agonistico e narrativo ma che – tra gli altri – annovera lo svantaggio di un solo arrivo, con una esposizione della cartellonistica per una sola volta invece di due, una per il primo uomo e la seconda per la prima donna. Un bel guaio per gli organizzatori!

Questa è solo una premessa che illustra con alcuni esempi la molteplicità degli aspetti del problema. Il regista non ha alcuna possibilità di entrare nel palinsesto e ha pochissima voce in capitolo per quanto riguarda la formula di gara e la sua è una voce molto flebile davanti agli interessi economici rilevanti!

Esiste invece un rapporto specifico ed evidente tra pubblicità sul campo (la cartellonistica) e le riprese. Il regista e prima di lui i cameramen possono condizionare o essere condizionati dalla presenza della cartellonistica? E anche questo è un problema complesso, con molte sfaccettature, che assolutamente non può essere liquidato con delle battute. Esaminiamone alcuni aspetti.

C’è intanto una differenza tra il grande evento internazionale e il piccolo evento locale. Di solito, il primo risponde a dei contratti elaborati, delle regole, delle convenzioni, delle norme acquisite. Il secondo è spesso terreno di confusione normativa, di mancanza di regole, di accordi non chiari quando di non raggiunti accordi se non di vere e proprie collusioni.

Per spiegarmi. Le partite del mondiale di calcio, i Gran Premi di F1, i Mondiali di ciclismo, vedono la presenza di un numero limitato di major sponsors, grandi marchi che lavorano con grandi investimenti, spalmati su un numero consistente di gare. Una imperfetta visualizzazione di oggi è compensata dalla partita o la tappa di domani e l’investimento ha un esito nel totale.
Tutt’altra cosa è la partitella di seconda o terza serie, il pugilato a tarda notte, la corsa ciclistica dell’organizzatore locale, il quale raccoglie i suoi finanziatori-sponsor una tantum, senza selezione, senza rispondere ad alcuna regola di esposizione, affidandosi alla “compiacenza” del cameraman o del regista! In questi casi le maglie comportamentali si allargano.

Alla fine, un dato è fondamentale: che ci siano regole di esposizione (e meglio se sul grande evento). L’esistenza di regole note, contrattualizzate (da chi?) porta un elemento di chiarezza a cui è più difficile derogare con comportamenti collusivi.

Là dove invece il problema non si esplicita tra detentore dei diritti e organizzatore o, meglio ancora, tra questi e il broadcast (ma è possibile tra questi due soggetti?), là dove si lascia margine all’incertezza e all’indeterminazione, lì nasce il poco chiaro e il comportamento scorretto.

Esistono queste regole? Possono essere dettate al broadcast?

Non sono un esperto di diritti sportivi. Lavorando sul campo ho fatto sempre una differenza tra l’improvvisazione, l’arbitrio e – per esempio – le regole eurovisive di esposizione pubblicitaria. Non che fossero perfette…ma erano regole, quindi binario, almeno traccia da interpretare, se non vero e proprio deterrente. Si stabilivano i principi di sistemazione sul campo, il divieto di interporsi tra la camera e l’evento, la dimensione del cartellone, la sua collocazione “su una unica fila continua”. E’ pur vero che la prima volta che vidi una seconda fila sulla linea laterale del campo di calcio e ne chiesi conto sulla base della regola che conoscevo, mi si fece notare che la regola parlava di “una unica fila continua”: la seconda era discontinua! Sono furbizie che aggirano la regola ma diventano pur sempre una seconda regola. E le regole, nel grande evento, di solito si rispettano.
Ma per la singola partita, il divieto eurovisivo della pubblicità in movimento e luminescente è stato completamente stravolto e oggi abbiamo rotor e led luminosi, oltre alle seconde e terze file, alla pubblicità in prospettiva a cui si aggiunge quella disegnata elettronicamente sul terreno di gioco. E in eventi più piccoli la situazione è ancora peggiore e a dominare è il disordine estetico e normativo.

Il broadcast è contraente di un accordo pubblicitario? No, non può esserlo. Se lo fosse, la pubblicità così raccolta rientrerebbe nel tetto che le è concesso. Costituirebbe un introito.

Lo è di fatto se non subdolamente? Forse. Se volesse effettivamente chiarire il suo ruolo, gli basterebbe vietare l’esposizione pubblicitaria nel contratto di ripresa dell’evento. Il broadcast non lo fa perché la risposta dell’organizzatore avverrebbe sul piano del costo dei diritti di trasmissione: se non mi consenti l’introito pubblicitario il costo dell’evento è 10 e non più 5.

(Quindi – di fatto – la tacita accettazione della presenza della pubblicità sul campo corrisponde ad un diverso costo dell’evento. La conseguente consenziente o non consenziente visualizzazione della pubblicità in campo, può configurarsi come un mancato esborso, quindi un introito occulto).

Siamo dunque davanti a questa contradditoria situazione: casualmente, l’host broadcaster trova la cartellonistica sul luogo dell’evento e non ne chiede la rimozione (mentre l’organizzatore sarebbe disposto a toglierla, dietro un diverso costo dei diritti); l’organizzatore non vende l’esposizione pubblicitaria in quanto c’è la ripresa, quindi formalmente “non vende la televisione”, salvo poi a quantificare l’esito dell’investimento in secondi di messa in onda!

Come si vede il problema dell’esistenza della cartellonistica sul campo esula completamente dalle competenze del regista. Il quale, pur non attore, subisce però tutte le conseguenze.
Fino al risibile. In un gran premio di Formula 1, si impose improvvisamente il problema della pubblicità del tabacco. Invece di affrettarsi a coprire i marchi sulle macchine e togliere la cartellonistica di riferimento, qualcuno si illuse che il regista potesse semplicemente evitarla. Sulle macchine e sulla pista, come se fosse in possesso di una miracolosa gomma per cancellare!

Questo è quanto avviene fuori, ma ora entriamo in regia. La presenza della pubblicità modifica le riprese? Questa è la domanda che più frequentemente mi sento rivolgere. Come lavorano il cameraman e il regista (riprese e direzione delle riprese) in rapporto alla pubblicità in campo?

Lavorerebbero bene in presenza di regole e di chiarezza di rapporti tra organizzatore e TV.
Devono lavorare invece secondo i propri criteri perchè regole non ce ne sono o sono subdole o non chiare. Si lavora male quando si lavora nell’ombra, quando la parte editoriale si difende dettando linee di comportamento ai propri dipendenti senza renderle note o addirittura rassicurando del contrario la controparte contrattuale. Ma, di solito, non detta nessuna linea e cameramen e regista si comportano secondo i propri criteri. Io espongo i miei.

Sono dell’avviso che lo sponsor sia essenziale all’esistenza stessa dell’avvenimento sportivo e che debba quindi essere salvaguardato nei suoi interessi compatibilmente con la correttezza e la migliore ripresa possibile. Ritengo che il compito di un regista sia quello di “non escludere e non subordinare” la ripresa alla pubblicità. Non è un buon regista né colui che esclude per principio né chi è al servizio degli interessi pubblicitari. Credo che un regista bravo sia quello che coniuga l’informazione e gli interessi pubblicitari alla correttezza della ripresa

Come, in concreto?

  •  Portando in chiaro la sua filosofia con i collaboratori e gli sponsor. I discorsi siano pubblici e non privati, al sole e non all’ombra, a voce alta e non sottovoce. Gli ordini di regia vengano registrati a garanzia di un comportamento alla luce del sole.
  • Il principio è che l’inquadratura sia coerente con l’azione sportiva. Durante lo svolgimento di una gara si ha l’opportunità di usare totali e campi stretti rispondendo sia alle esigenze dell’azione sportiva, sia a quelle della pubblicità.
  •  Favorisco la collocazione della cartellonistica sul campo di gara. Mi capita, per esempio, nel caso delle gare di sci. Invito il responsabile degli allestitori a venire in regia
    durante le prove; i cameramen fanno le loro normali riprese senza cartellonistica e questa
    sarà collocata nel modo più opportuno senza che il cameraman debba poi modificare le
    inquadrature e i movimenti di camera.
    Preferisco l’accordo tra professionisti, all’assalto alla diligenza. Perché questo assalto si
    concreta in almeno due comportamenti: la collocazione del cartello all’ultimo momento,
    molte volte davanti alla telecamera, quando il regista non ha più possibilità di
    occuparsene; l’accordo sottobanco con il cameraman consenziente, il quale poi distorcerà
    l’inquadratura per includere la pubblicità. E addio alla “direzione delle riprese”!
  •  Seguo alcune regole: il cartello o è dentro o è fuori. Non si accetta un taglio a metà, è uno stupido danno all’informazione pubblicitaria e all’azione sportiva. Alterno quindi totali e campi stretti, secondo le esigenze dell’azione sportiva, decisamente con o senza il cartellone.

Faccio questo lavoro con fatica e sono costretto ad accettare dei compromessi. Meglio sarebbe che ci fosse un responsabile aziendale. Ma abbiamo capito perché non è possibile.
 

Giancarlo TOMASSETTI

info@sportregiatv.it