Il rapporto sport-pubblicità è un tema multidisciplinare complesso;
io posso parlarne solo dal punto di vista che mi è proprio, quello
della regia.
Credo di poter dire, oggi è abbastanza evidente, che lo sport
attuale non esisterebbe senza lo sponsor o che, almeno, lo sponsor è
una delle sue principali fonti di finanziamento. Di converso,
possiamo dedurre quanto sport sia fortemente influenzato dalla
pubblicità. Come?
La pubblicità condiziona i palinsesti televisivi. Tutti ci
ricordiamo delle partite di calcio del Mondiale USA del 94 giocate a
mezzogiorno per andare in onda in prima serata in Europa.
Allo stesso modo sappiamo che discipline ben definite nei tempi
(come il calcio) o quelle sostanzialmente definite (come il basket)
sono televisivamente preferibili a quelle che non hanno un preciso
limite di tempo (come il tennis) o si giocano su un numero di set o
periodi variabili (il volley). Allo stesso modo, discipline con
intervelli e pause regolari sembrano fatte apposta per favorire gli
inserimenti pubblicitari. Chi ci garantisce che le regole della
disciplina o del gioco di squadra non siano suggerite o indotte
dallo sponsor?
La stessa cartellonistica, tra le forme pubblicitarie, condiziona il
modo di svolgimento o la struttura stessa del racconto televisivo.
Fate il caso di una corsa automobilistica o ciclistica o campestre,
in circuito piuttosto che in linea. Il circuito favorisce
l’esposizione pubblicitaria più volte durante la gara, mentre la
corsa in linea offre una sola volta il traguardo. Una 50 km si può
realizzare in linea o in un circuito di 25 km da ripetersi 2 volte o
in un circuito di 10 km da ripetersi 5 volte. Con esiti di
esposizione pubblicitaria completamente diversi.
Ho un caso recentissimo. Non più tardi di qualche giorno fa è stata
fatta un’ipotesi di una maratona con un handicap di circa 20 minuti
per gli uomini, per favorire un arrivo contemporaneo ed un probabile
sprint uomo-donna. Ipotesi interessante sul piano agonistico e
narrativo ma che – tra gli altri – annovera lo svantaggio di un solo
arrivo, con una esposizione della cartellonistica per una sola volta
invece di due, una per il primo uomo e la seconda per la prima
donna. Un bel guaio per gli organizzatori!
Questa è solo una premessa che illustra con alcuni esempi la
molteplicità degli aspetti del problema. Il regista non ha alcuna
possibilità di entrare nel palinsesto e ha pochissima voce in
capitolo per quanto riguarda la formula di gara e la sua è una voce
molto flebile davanti agli interessi economici rilevanti!
Esiste invece un rapporto specifico ed evidente tra pubblicità sul
campo (la cartellonistica) e le riprese. Il regista e prima di lui i
cameramen possono condizionare o essere condizionati dalla presenza
della cartellonistica? E anche questo è un problema complesso, con
molte sfaccettature, che assolutamente non può essere liquidato con
delle battute. Esaminiamone alcuni aspetti.
C’è intanto una differenza tra il grande evento internazionale e il
piccolo evento locale. Di solito, il primo risponde a dei contratti
elaborati, delle regole, delle convenzioni, delle norme acquisite.
Il secondo è spesso terreno di confusione normativa, di mancanza di
regole, di accordi non chiari quando di non raggiunti accordi se non
di vere e proprie collusioni.
Per spiegarmi. Le partite del mondiale di calcio, i Gran Premi di
F1, i Mondiali di ciclismo, vedono la presenza di un numero limitato
di major sponsors, grandi marchi che lavorano con grandi
investimenti, spalmati su un numero consistente di gare. Una
imperfetta visualizzazione di oggi è compensata dalla partita o la
tappa di domani e l’investimento ha un esito nel totale.
Tutt’altra cosa è la partitella di seconda o terza serie, il
pugilato a tarda notte, la corsa ciclistica dell’organizzatore
locale, il quale raccoglie i suoi finanziatori-sponsor una tantum,
senza selezione, senza rispondere ad alcuna regola di esposizione,
affidandosi alla “compiacenza” del cameraman o del regista! In
questi casi le maglie comportamentali si allargano.
Alla fine, un dato è fondamentale: che ci siano regole di
esposizione (e meglio se sul grande evento). L’esistenza di regole
note, contrattualizzate (da chi?) porta un elemento di chiarezza a
cui è più difficile derogare con comportamenti collusivi.
Là dove invece il problema non si esplicita tra detentore dei
diritti e organizzatore o, meglio ancora, tra questi e il broadcast
(ma è possibile tra questi due soggetti?), là dove si lascia margine
all’incertezza e all’indeterminazione, lì nasce il poco chiaro e il
comportamento scorretto.
Esistono queste regole? Possono essere dettate al broadcast?
Non sono un esperto di diritti sportivi. Lavorando sul campo ho
fatto sempre una differenza tra l’improvvisazione, l’arbitrio e –
per esempio – le regole eurovisive di esposizione pubblicitaria. Non
che fossero perfette…ma erano regole, quindi binario, almeno traccia
da interpretare, se non vero e proprio deterrente. Si stabilivano i
principi di sistemazione sul campo, il divieto di interporsi tra la
camera e l’evento, la dimensione del cartellone, la sua collocazione
“su una unica fila continua”. E’ pur vero che la prima volta che
vidi una seconda fila sulla linea laterale del campo di calcio e ne
chiesi conto sulla base della regola che conoscevo, mi si fece
notare che la regola parlava di “una unica fila continua”: la
seconda era discontinua! Sono furbizie che aggirano la regola ma
diventano pur sempre una seconda regola. E le regole, nel grande
evento, di solito si rispettano.
Ma per la singola partita, il divieto eurovisivo della pubblicità in
movimento e luminescente è stato completamente stravolto e oggi
abbiamo rotor e led luminosi, oltre alle seconde e terze file, alla
pubblicità in prospettiva a cui si aggiunge quella disegnata
elettronicamente sul terreno di gioco. E in eventi più piccoli la
situazione è ancora peggiore e a dominare è il disordine estetico e
normativo.
Il broadcast è contraente di un accordo pubblicitario? No, non può
esserlo. Se lo fosse, la pubblicità così raccolta rientrerebbe nel
tetto che le è concesso. Costituirebbe un introito.
Lo è di fatto se non subdolamente? Forse. Se volesse effettivamente
chiarire il suo ruolo, gli basterebbe vietare l’esposizione
pubblicitaria nel contratto di ripresa dell’evento. Il broadcast non
lo fa perché la risposta dell’organizzatore avverrebbe sul piano del
costo dei diritti di trasmissione: se non mi consenti l’introito
pubblicitario il costo dell’evento è 10 e non più 5.
(Quindi – di fatto – la tacita accettazione della presenza della
pubblicità sul campo corrisponde ad un diverso costo dell’evento. La
conseguente consenziente o non consenziente visualizzazione della
pubblicità in campo, può configurarsi come un mancato esborso,
quindi un introito occulto).
Siamo dunque davanti a questa contradditoria situazione:
casualmente, l’host broadcaster trova la cartellonistica sul luogo
dell’evento e non ne chiede la rimozione (mentre l’organizzatore
sarebbe disposto a toglierla, dietro un diverso costo dei diritti);
l’organizzatore non vende l’esposizione pubblicitaria in quanto c’è
la ripresa, quindi formalmente “non vende la televisione”, salvo poi
a quantificare l’esito dell’investimento in secondi di messa in
onda!
Come si vede il problema dell’esistenza della cartellonistica sul
campo esula completamente dalle competenze del regista. Il quale,
pur non attore, subisce però tutte le conseguenze.
Fino al risibile. In un gran premio di Formula 1, si impose
improvvisamente il problema della pubblicità del tabacco. Invece di
affrettarsi a coprire i marchi sulle macchine e togliere la
cartellonistica di riferimento, qualcuno si illuse che il regista
potesse semplicemente evitarla. Sulle macchine e sulla pista, come
se fosse in possesso di una miracolosa gomma per cancellare!
Questo è quanto avviene fuori, ma ora entriamo in regia. La presenza
della pubblicità modifica le riprese? Questa è la domanda che più
frequentemente mi sento rivolgere. Come lavorano il cameraman e il
regista (riprese e direzione delle riprese) in rapporto alla
pubblicità in campo?
Lavorerebbero bene in presenza di regole e di chiarezza di rapporti
tra organizzatore e TV.
Devono lavorare invece secondo i propri criteri perchè regole non ce
ne sono o sono subdole o non chiare. Si lavora male quando si lavora
nell’ombra, quando la parte editoriale si difende dettando linee di
comportamento ai propri dipendenti senza renderle note o addirittura
rassicurando del contrario la controparte contrattuale. Ma, di
solito, non detta nessuna linea e cameramen e regista si comportano
secondo i propri criteri. Io espongo i miei.
Sono dell’avviso che lo sponsor sia essenziale all’esistenza stessa
dell’avvenimento sportivo e che debba quindi essere salvaguardato
nei suoi interessi compatibilmente con la correttezza e la migliore
ripresa possibile. Ritengo che il compito di un regista sia quello
di “non escludere e non subordinare” la ripresa alla pubblicità. Non
è un buon regista né colui che esclude per principio né chi è al
servizio degli interessi pubblicitari. Credo che un regista bravo
sia quello che coniuga l’informazione e gli interessi pubblicitari
alla correttezza della ripresa
Come, in concreto?
- Portando in chiaro la sua filosofia con
i collaboratori e gli sponsor. I discorsi siano pubblici e non
privati, al sole e non all’ombra, a voce alta e non sottovoce.
Gli ordini di regia vengano registrati a garanzia di un
comportamento alla luce del sole.
- Il principio è che l’inquadratura sia
coerente con l’azione sportiva. Durante lo svolgimento di una
gara si ha l’opportunità di usare totali e campi stretti
rispondendo sia alle esigenze dell’azione sportiva, sia a quelle
della pubblicità.
- Favorisco la collocazione della
cartellonistica sul campo di gara. Mi capita, per esempio, nel
caso delle gare di sci. Invito il responsabile degli allestitori
a venire in regia
durante le prove; i cameramen fanno le loro normali riprese
senza cartellonistica e questa
sarà collocata nel modo più opportuno senza che il cameraman
debba poi modificare le
inquadrature e i movimenti di camera.
Preferisco l’accordo tra professionisti, all’assalto alla
diligenza. Perché questo assalto si
concreta in almeno due comportamenti: la collocazione del
cartello all’ultimo momento,
molte volte davanti alla telecamera, quando il regista non ha
più possibilità di
occuparsene; l’accordo sottobanco con il cameraman consenziente,
il quale poi distorcerà
l’inquadratura per includere la pubblicità. E addio alla
“direzione delle riprese”!
- Seguo alcune regole: il cartello o è
dentro o è fuori. Non si accetta un taglio a metà, è uno stupido
danno all’informazione pubblicitaria e all’azione sportiva.
Alterno quindi totali e campi stretti, secondo le esigenze
dell’azione sportiva, decisamente con o senza il cartellone.
Faccio questo lavoro con fatica e sono costretto ad accettare dei
compromessi. Meglio sarebbe che ci fosse un responsabile aziendale.
Ma abbiamo capito perché non è possibile.
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