MARMELLATA FUTBOL

DI MASSIMILIANO MAZZON
PRIMA PARTE


Per sapere dove avremmo potuto seguire le nostre trasmissioni preferite del weekend, abbiamo dovuto attendere il 21 agosto, data in cui sono stati resi noti gli esiti della trattativa privata tra la Lega e i Network per l’acquisizione dei diritti TV. Tutto regolare, quindi, anche se bisogna dire che gli unici ad aver realmente sospirato di sollievo sono stati i presidenti delle società, che hanno visto piovere nelle proprie casse altri soldi per il “calcio in chiaro”, dopo gli oltre ottocento miliardi complessivi incassati dalle pay-tv/ perview (Telepiù e Stream). Non particolarmente preoccupati, invece, i telespettatori per i quali esiste il telecomando e non eccessivamente euforiche Rai, Mediaset e Tmc per le quali si è trattato di affrontare spese di cui a malapena potranno rientrare con la vendita dei relativi spazi pubblicitari, a fronte di un’offerta scadente e parziale determinata da anticipi e posticipi che ci regaleranno più di una domenica con sole quattro partite. Certo, la soddisfazione delle Società non è stata completa, visto che i network nazionali avevano mandato quasi deserta l’asta stile Christie’s del 4 agosto: dei 236 miliardi chiesti più per parlare di calcio che per farlo vedere, la Lega allora ne incassò “appena” 23, frutto delle offerte Rai, le uniche, per i diritti ra­diofonici (1O,5)e per la fascia 20,30/22,30 (12,5). La trattativa privata, poi, condotta al ribasso ma pur sempre onerosa, ha stabilito l’attuale programmazione evitando la scelta impopolare, so­prattutto per la Rai, di non fornire la dose fine-settimanale di pallone; eppure se diamo un’occhiata alla stagione televisiva ci rendiamo conto che so­no previsti complessivamente 240 giorni di calcio, che non sarà necessario attendere il weekend per potersi strafogare di gol, che tutti i giorni della settimana avranno almeno un incontro trasmesso. E questo solo per ciò che riguarda il calcio ufficiale; ma vo­gliamo dimenticare il calcio esibizione di luglio e agosto regolarmente trasmesso e dai contenuti tecnici e spettacolari relativi? I dati d’ascolto parlano chiaro, ce lo guardiamo tutto, e il nostro interesse, di tutto il continente intendiamo, arriva a tal punto che è già pronto il progetto per la Superlega europea, di cui l’attuale Champions League allargata non è che l’estremo tentativo dell’Uefa di mantenere i club più potenti nella propria orbita. È il caso di dire “vedremo”, ma solo pagando. Sì, perché oramai un dato sembra certo: pagheremo di tutto e di più, sancendo definitivamente il tramonto della concezione italiana, questa sì solo nostra, di un servizio pubblico che assicura “naturalmente” la copertura di tutti gli eventi di rilievo; il mercato a lungo congelato nel monopolio prima e nel duopolio poi, va ora assumendo sempre più contorni reali. La vendita dei diritti verrà fatta al maggiore offerente, ma solo per gli sport di grande richiamo.
Non basterà quindi pagare per vedere tutto. Pagheremo di più, abbiamo detto, e soprattutto il cal­cio. Un esempio ce lo ha fornito proprio questa, passatemela, estate di fine millennio; Stream che si è aggiunta alla pioniera Tele+, si è assicurata i diritti di 7 squadre di Serie “A”, rompendo il monopolio della società di Cologno Monzese. Fin qui nulla di strano, se le società coinvolte hanno pre­ferito vendere ad altri i proprio diritti, il problema, soprattutto per il consumatore, lo ha creato il mancato roaming, cioè l’accordo per rendere compatibili i due sistemi.

In parole povere, per seguire tutte le partite della propria squadra bisogna stipulare non solo doppio contratto, ma avere due decoder: solo dal lu­glio del prossimo anno infatti, sarà per legge messo sui mercato un decidificatore compatibile con tutti i sistemi. Per chi si vuole fare i conti, nell’apposito box troverà tutte le indicazioni utili; per chi se li è già fatti...
 

…7 domande all’altra faccia della mela

Il calcio dunque, ha riaperto la propria stagione, anche se di fatto non l’ha mai chiusa, con tutti gli spareggi, i tornei, i turni preliminari che hanno riempito anche luglio e agosto. In mezzo, c’è stato come al solito il calcio parlato. Il mercato, i rinforzi, le cessioni e le polemiche. Tutto già sentito, eppure sempre piacevole a ri­petersi e rassicurante. Del resto, sul calcio s’è già detto tutto, compreso quello visto in tv. Eppure, un punto di vista inedito c’è, forse anche interessante, per il lettore di sicuro concreto. È il punto di vista di chi la partita la fa anche se non la gio­ca: i registi televisivi sportivi. Abbiamo rivolto sette domande a Giancarlo Tomassetti, Danilo Zanon e Popi Bonnici, rispettivamente registi Rai, Tele+ e Fininvest, personaggi diversi non solo per azienda di appartenenza ma anche per approccio filosofico e culturale al problema delle trasmissioni sportive e non. Con loro è stata realizzata una singolare tavola rotonda effettuata via Internet dalla cui lettura emerge uno spaccato variegato e interessante sul calcio e sullo sport, visti da una angolatura decisamente originale. Ecco le domande che gli abbiamo rivolto:Si può sicuramente iniziare con una domanda di rito ma obbligata. Esiste una distinzione che tradizionalmente vede in opposizione il punto di vista del servizio pubblico e quello del network privato: informazione contro spettacolo.

E' ancora valida secondo voi questa distinzione? Quale pensate sia il modello di ripresa ideale per il calcio?

Tomassetti: La distinzione non è valida in as­soluto. È valida relativamente alla richiesta che viene fatta al regista, sia esso del servizio pubblico, sia del network privato. Lavoro per una testata giornalistica che richie­de un prodotto giornalistico. Probabilmente altri network richiedono ai propri registi una partita più “spettacolarizzata”. Cosa significhi “spettacolarizzare” una partita è tutt’altro discorso e qui intervengono le opinioni personali dei registi. La mia partita ideale rinuncia volentieri a qual­che replay e qualche PPP (Primissimo Piano, n.d.r.) per non perdere l’azione di gioco e rivedere la palla al centro del campo dopo il gol. Ma reclamo fer­mamente (e spesso senza esito) il replay del detta­glio del piede che colpisce il giocatore e non la palla, perché chiarisce il fallo. È sempre una questione di informazione...

Zanon: Sì, esiste una distinzione tra servizio pubblico e privato il servizio pubblico deve indubbiamente fornire un prodotto basato sull’informazione, in quanto servizio pubblico accessibile a tutti gli utenti italiani. La pay­tv in particolare, deve fornire più spettacolo oltre che all’informazione, in quanto è un prodotto a pagamento che raccoglie un tipo di utenza diverso dalla televisione pubblica, l’utente che paga la tv, esige un prodotto che contenga valore aggiunto, quindi la pay è obbligata ad offrire oltre all’informazione, lo spettacolo.

Bonnici: Credo che il concetto di servizio pubblico debba essere affrontato sotto aspetti molto differenti, e nello specifico riguardo all’attività sociale e culturale che il servizio pubblico dovrebbe affermare, e non certo il modello di ripresa, che a mio parere non risente di concetti diversi dal racconto di un buon cronista. Non ci si deve dimenticare che un evento sportivo riveste al suo interno caratteristiche d’interesse e commerciali differenti, sia per bacino d’utenza, sia per ritorni commerciali. È quindi giusto affermare che semmai l’attività del servizio pubblico si deve esprimere soprattutto nel creare visibilità nei confronti di quelle discipline sportive maggiormente penalizzate da uno scarso interesse commerciale. Il modello che garantisce la fruizione del gioco del calcio nella sua interezza, senza dimenticare nei tempi morti la capacità di ammirarne i dettagli. Nell’insieme del gioco bisogna tenere conto delle limitazioni imposte dal mezzo televisivo, pensate soltanto alla capacità dell’occhio umano di vedere un angolo di ben 120 gradi, mantenendo l’oggetto alla stessa distanza, bene la telecamera ci riduce questa visibilità a circa 55/5 6 gradi, ben meno della metà. Immaginatevi di guardare allo stadio la partita con un occhio solo e con un paraocchi davanti. Allora capirete veramente quali siano i limiti oggi della tecnologia. Passerete in un attimo dalla vista stereoscopica, a quella monoscopica e limitante delle telecamere. La ripresa di un evento in diretta, apparentemente lo ripropone così com’è; questa è però pura illusione, perché inevitabilmente le modalità di una ripresa variano da regista a regista, e quindi anche i punti di vista.
 

Si può parlare di costruzione di un evento attraverso una sceneggiatura non scritta e in tempo reale? In che misura modifica la Realtà? Quali sono gli strumenti, i mezzi con cui è possibile operare tali correzioni?

Tomassetti: Non sono un filosofo e prendo una scorciatoia (ma quante cose mi vengono in mente!) Molto semplicemente: esiste la partita su1 campo e quella in diretta tv. Sono due realtà diverse e diver­samente percepite: cosa accomuna l’una all’altra?
Il regista lavora costantemente su due parametri: il tempo e lo spazio, l’inquadratura e la sua durata. Certamente, tempo della partita e tempo del­la ripresa (inteso come durata) sono identici, nonostante la “rottura” del tempo costituita dai replay. Dopo 90 minuti e rotti finisce la partita e fi­nisce la ripresa. È così anche per il tempo inteso come ritmo? Il ritmo della ripresa, ovvero la fre­quenza degli stacchi tra una camera e l’altra, può influenzare una diversa percezione del ritmo della partita? Dieci anni fa, per i Mondiali, mi sono posto il problema e ho cercato di risolverlo sperimentalmente. Ho mostrato dieci minuti di partita realizzata con il solo totale, poi gli stessi dieci minuti con l’uso di tutte le telecamere. Provate anche voi. Il risultato è che il ritmo della partita è percepito nello stesso modo: una partita lenta resta lenta, sia che venga seguita da un totale, sia che si alternino freneticamente totali, campi stretti, primi piani, camere alte e camere basse.
Con l’alternanza delle inquadrature, cambia invece il modo di rappresentazione della partita, la sua ricchezza di informazione. Ovvero, se la fase di gioco è costituita da passaggi di palla, va inquadrata con il totale; il takle, il dribbling, il passaggio corto reclamano il campo stretto; l’espressione del giocatore vuole il PPP (primissimo piano); la gomitata andrebbe ripresa in dettaglio. Cosa cambia allora tra una partita ripresa con il solo totale e quella che interpreta ogni fase di gioco con l’inquadratura adeguata? Non il ritmo della partita, bensì la sua ricchezza d’informazione che consiste nell’adeguatezza delle immagini alle situazioni di gioco: “congruità” delle immagini. Ogni tentativo di regia che non tenga conto della necessita di quella inquadratura e di quella sequenza di inquadrature è l’espressione un po’ ridicola di un privato esercizio del regista. Immagini in libertà, note senza spartito.

Zanon: La ripresa in diretta di un evento sportivo, cambia da regista a regista in quanto non esiste una sceneggiatura, perché non ci sono prove per una sfida sportiva. La ripresa diventa molto soggettiva nel momento in cui il regista deve interpretare l’evento e quindi fare la sceneggiatura in tempo reale e deve intuire cosa potrebbe accadere. Quando accade qualche cosa durante un evento, il tempo di reazione di tutto e di tutti è medesimo e molto breve, quindi si deve creare l’opportunità di far vivere tutte le emozioni agli utenti che sono seduti in poltrona. Il regista deve essere bravo a riproporre in brevi tempi, situazioni ed emozioni in leggera differita, creando così quell’illusione (non percepita dall’utente) che permette di vivere tutto lo spettacolo per riuscire a realizzare tutto questo, il regista deve essere ben preparato, conoscere e sfruttare le tecnologie che permettono di poter far si che si possa realizzare il prodotto richiesto. Oggi sul mercato si trovano più aziende che producono tecnologia avan­zata e permettono a noi registi di poter aumentare le creatività e la spettacolarità.

Bonnici: Tutta la Storia è una grande illusione, o forse voi credete di conoscere la verità per come vi è raccontata? Pensate solo che in un’epoca in cui esiste la CNN, Internet e il mondo sembra così globale, e tutto sembra così vero, la disinformazione regna totale. Altro che Guerra del Golfo, con nes­sun problema, parte della realtà la stiamo scoprendo solo adesso, e voi pensate che un regista televisivo, un giornalista della carta stampata o altro possa assicurarvi la realtà? Assolutamente no, in quanto necessariamente vi proporrà la Sua Realtà, vista at­traverso i suoi occhi, con i suoi stati d’animo che saranno forse simili ai vostri ma con percezioni diverse, e pertanto virtuali. Ma forse questa è più filosofia che tecnica,e se di tecnica si vuole parlare, vi dirò che grazie all’uso di tecnologie digitali su memorie a stato solido si possono realizzare traslazioni temporali, che con­sentono di mostrare ciò che è accaduto alcuni istan­ti prima senza nessuna difficoltà, realizzando così una manipolazione temporale.
 

Quindi che rapporto pensate ci debba essere tra Realtà e Verosimiglianza? In altre parole, credete che sia lecito agire nella creazione di un senso comunque non opposto a quello dell’evento, modificandone però la narrazione?

Tomassetti:  Continuo il discorso precedente per rispondere a questa domanda. La partita sul campo e la partita televisiva so­no due realtà diverse tra le quali è evidente uno strettissimo rapporto: è la partita reale che guida la ripresa e “detta” i modi della verosimiglianza televisiva. È la realtà che impone i modi della rappresentazione. Non si dà totale o campo stretto o dettaglio, non si danno stacchi tra le camere che siano dettati dal virtuosismo tecnico piuttosto che dalle caratteristiche dell’azione di gioco. Il linguaggio di ripresa è il risultato dell’interpretazione della realtà. Si può quindi discutere solo sull’interpretazione dell’azione e so che le interpretazioni possono essere diverse. Il contrasto sul cen­trocampista inquadrato in campo stretto dalla camera bassa a favore, può essere considerato più o meno importante del totale che mostra il posizionamento in area. Ma non c’è dubbio che è l’azione ritenuta più importante che impone l’inquadratura e non il contrario. Qualche volta invece ci si trova di fronte a strutture linguistiche preordina­te: si stacca sul centrocampista che porta palla perché è a favore di camera, ignorando il posizionamento della squadra e il tentativo di smarcarsi, come se il totale fosse meno bello. È stucchevole che alla fine di un’azione debba sempre seguire il PPP del protagonista anche se l’inquadratura lo vede di nuca. Dopo il gol si debbono per forza sparare cinque o sei replay, anche se il gioco è ricominciato. Io sono invece del parere che, se i giocatori fanno melma, si debba rappresentare la melma, senza cercare (non si sa come) di renderla un’azione travolgente in virtù di una ripresa mozzafiato. Il regista ci mostri la sua bravura interpretando correttamente il gioco e non esibendo la propria abilità nella frequenza degli stacchi!
Questa è la linea di fondo. Esistono poi molti modi di spettacolarizzare la partita televisiva, quando questo venisse richiesto al regista. Personalmente però starei molto attento a non inventarmi una partita inesistente; abbiamo una qual certa responsabilità nei confronti dei rispettivi abbonati.

Zanon: Dal mio punto di vista è lecito modificare la realtà per portarla alla verosomiglianza, ma non oltre. La verosomiglianza, non vuol dire modificare la narrazione, ma solo compattare più sensa­zioni al quale l’utente finale non potrebbe accedere. Si parla sempre di ciò che si vede. Per quello che si sente c’è scarsa attenzione, e comunque dedicata solamente ai commentatori e telecronisti.
 

Che importanza ha la ripresa audio? Si può far a meno della telecronaca?

Tomassetti: L’immagine è audiovisiva e viene percepita come audiovisiva. Solo la nostra (italiana) ignoranza alla percezione ci fa sopportare partite così male realizzate. Gli effetti sonori aumentano il realismo delle immagini. Ma veniamo da una cultura (anche cinematografica; si pensi al doppiaggio), un sistema di produzione disattento e al risparmio, regole e divieti per il posizionamento dei microfoni, modalità di telecronaca, che ostacolano duramente il miglioramento degli standard di ripresa audio della partita. A conforto dei nostri colleghi più giovani, debbo dire che quindici anni fa la situazione era molto peggiore di quella attuale. Non dimentichiamo che le prime immagini televisive riuscivano a malapena a “fumettare” una radiocronaca. Ma anche durante la preparazione del nostro Mondiale, si sentivano dire sciocchezze del tipo “sentirete la partita come se foste allo stadio”. Cosa si sente allo stadio?  Non vi meravigli allora che spesso ancora oggi sia così difficile dare a ciascuna inquadratura il proprio campo sonoro e che i giocatori vengano spesso percepiti come pesci in un acquario, senza che nessuno se ne stupisca Si può fare a meno della telecronaca? No, a mio parere, per gran parte degli spettatori. Una partita senza commento sarebbe una pura cronaca visiva dei fatti. Il commento dà invece senso alle immagini, il cui significato sarebbe riduttivo per gran parte degli spettatori. La mancanza del commento va a detrimento delle immagini, allo stesso modo che un commento che prescindesse dalle immagini annasperebbe nel vuoto e sarebbe una cattiva prestazione professionale.

Zanon: La ripresa audio dal mio punto di vista, è importantissima. il progetto da me presen­tato per le riprese degli eventi sportivi (in particolare il calcio) è basato sulla sonorità delle immagini. Tutte le immagini proposte devono essere tassativamente colorate con l’audio vero di quella scena. Una bella immagine senza audio non può offrire l’emozione che crea la stessa immagine colorata con un audio vero e attivo. La telecronaca è indispensabile se interattiva con la regia, perché permette di evidenziare momenti, fatti o personaggi dell’evento in corso. Se la telecronaca non è interattiva il risultato è quello di un bel film dei fratelli Lumiere da una parte e di una bella radiocronaca dall’altra e il risultato.., uno schifo per chi è seduto in poltrona.

Bonnici: Domanda difficile, o meglio sarebbe dire: è sufficiente vedere una partita, o bisogna an­che ascoltarla? Forse la risposta se la danno tutti coloro che urlano e insultano il cronista, ognuno dei quali lo ritiene, spesso a torto, tifoso dell’una o dell’altra squadra. Certo è che la partita che realizza il regista, nel bene o nel male, è vista da milioni di persone attraverso le televisioni dei vari paesi che ne trasmettono le immagini. È pertanto logico aspettarsi che vi siano vari commentatori, ma un unica immagine, che è quindi raccontata in maniera molto diversa in voce. Per quanto invece riguarda la qualità del suono, temo che il nostro pubblico abbia, per così dire, la bocca troppo buona. Solo in rare occasioni ho avuto il piacere di vivere la qualità della ripresa audio. Nell’incontrarmi con i responsabili della Stream la scorsa primavera, li ho invitati a fornire al pubblico un canale su cui potessero ascoltare soltanto i suoni della partita. Sono felice che questo si sia concretizzato. Questo dovrebbe farvi capire quanto io ritenga fondamentale una buona ripresa audio. Segue
 

Giancarlo TOMASSETTI

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