LUMSA – Facoltà di Scienze della comunicazione

Enza Civale:
La partita di calcio tra cronaca e spettacolo
 
Intervista a G. Tomassetti, regista RAI

COMPLETO
  • Nella storia, soprattutto recente, della ripresa televisiva della partita di calcio c’è una evidente evoluzione dalla pura cronaca dell’evento allo spettacolo televisivo.
    La cronaca della partita non potrebbe essere falsata dalle esigenze dello spettacolo?


    Certamente si. Questo, non solo potrebbe avvenire, ma avviene già in alcuni momenti della ripresa di molte partite di calcio. Per essere chiaro: avviene ogni volta che l’esigenza spettacolare oscura o falsifica l’informazione.
    Ma il problema del rapporto tra cronaca e spettacolo nella ripresa di attualità è certamente più complesso. Come regista, lo farò con strumenti culturali “poveri”, ma ancorandomi saldamente alla mia esperienza diretta.

    Devo innanzitutto ribadire  che la ripresa televisiva e’ sempre una interpretazione della  partita, almeno per due motivi: la realtà visiva, quella che appare e che è l’unica di cui io posso occuparmi (la realtà fenomenologia, non quella ontologica), è tradotta e riproposta con l’ uso di strumenti tecnici. Anzi, è il risultato dei limiti di questi strumenti: la riduzione a 625 righe, un formato televisivo di 4 per 3, le deformazioni degli obiettivi, l’interpretazione dei colori e della luminosità, la costruzione  dei suoni, ecc. ecc.
    Inoltre, il regista, il cameramen, il replaysta, il commentatore, lavorano operando costantemente delle scelte, lavorano per sottrazione dall’intero universo possibile: il risultato finale è frutto della loro interpretazione.
    Con questo non ho detto che la telecronaca della partita è “necessariamente” falsa, ma solo che è “obbligatoriamente” una interpretazione.
     

  • Quale e’ allora il rapporto tra cronaca e spettacolo nella partita televisiva?
    In che modo la ripresa di un fatto d’attualità diventa spettacolo?

    Il rapporto o le differenze tra “cronaca della partita” e “spettacolo della partita” non sono sufficientemente chiare né indagate. Il termine spettacolo viene da spectare, vedere; quindi il calcio è già spettacolo e non a caso si parla di spettacolo del calcio (come si parla di un paesaggio o di un incidente spettacolare).
    Di questo evento (spettacolare) la ripresa televisiva può fare mera cronaca o può conferire forma spettacolare, con gli strumenti propri della televisione.

    Quali sono? Dalla cabina di regia, il mio punto di osservazione è – nello stesso tempo – privilegiato e assolutamente limitato. Ma costruendo e coniugando immagini tra loro, interpretando la realtà visiva dell’evento e traducendola in racconto per immagini, alcuni processi di spettacolarizzazione mi sono del tutto evidenti.

    Partiamo dalle immagini, che sono le lettere dell’ alfabeto televisivo.
    Innanzitutto c’è una componente  di denotazione e di connotazione nella costruzione della singola inquadratura: la mezza figura dell’allenatore per l’intervista di rito, realizzata con telecamera ad altezza d’ uomo, ha una valenza del tutto diversa da quella della inquadratura realizzata dal basso verso l’alto, con telecamera appoggiata a terra, che lo staglia contro le luci di San Siro. Due modi diversi di realizzare immagini che possono essere estesi all’intera partita. In linea generale (e senza farne assolutamente una regola) a me sembra che: più le telecamere sono basse, vicine al soggetto e usate in campo stretto, più danno emozioni e fanno spettacolo; più sono alte, distanti dal campo e in totale e più offrono informazioni.
    In sintesi: lo schema di gioco si “legge” sul totale dall’alto; il campo stretto  dei giocatori in contesa sulla palla offre l’emozione del loro coinvolgimento nel gioco.

    Un secondo livello di spettacolarizzazione attiene alla unicità o alla  molteplicità dei punti di vista nella ripresa della partita. La possibilità di seguire il gioco staccando tra più telecamere, è un fondamentale elemento di spettacolarizzazione offerto dal linguaggio televisivo. Lo spettatore, anche seduto in tribuna centrale, non avrà mai la possibilità di seguire il gioco da dove si vede meglio.
    Ma non solo la possibilità di far intervenire più telecamere, anche il modo di accostare le diverse immagini le une  alle altre, il “montaggio” delle inquadrature provenienti dalle diverse camere, va considerato come più vicino ai modi della cronaca o a quelli dello spettacolo.
    Il passaggio dal totale di gioco, alla figura intera dei giocatori in tackle, al primo piano del giocatore che ha subito il fallo, al particolare delle mani che stringono la caviglia, e’ un procedimento quasi “naturale”, che riproduce con stacchi successivi l’attenzione dello spettatore in tribuna a focalizzare la fase di gioco.
    Il procedimento è tipico della televisione degli inizi, che tenta di imitare la situazione dello spettatore allo stadio.
    Al contrario, il passaggio dal totale dell’Olimpico al primissimo piano di Trapattoni è certamente una costruzione tecnica del linguaggio televisivo, molto più vicina ad un effetto spettacolare che non alla cronaca di un fatto.
    Molte volte, durante la partita, si alternano totali e campi stretti a soli fini di spettacolo. Lo trovo interessante oltre che corretto. Ma se il campo stretto del giocatore che porta palla mi impedisce di vedere il posizionamento della squadra, non ho falsato la realtà, l’ho semplicemente oscurata: lo spettacolo ha preso il posto dell’informazione.

    Metterei ad un terzo livello la costruzione televisiva del racconto, con l’uso di tutti gli strumenti (e, qualche volta, gli espedienti) della pura fiction televisiva, partendo dai replay e i rallenty. La rottura della equivalenza tempo reale/tempo televisivo (che sembrava essere il fondamento stesso della diretta) è oggi una convenzione accettata e direi  insostituibile del fare televisione d’attualità’. Ma il replay può essere usato per chiarire un’azione già vista utilizzando una diversa telecamera, oppure per enfatizzare il gol in  una ripetizione infinita, impedendomi di vedere cosa succede in campo.
    Inoltre, può essere utilizzato per mostrare in differita una reazione ad una azione già vista (il disappunto dell’allenatore per un gol mancato): ma cosa succede se la reazione viene decontestualizzata dall’azione e usata (sembrerebbe innocuamente) per se stessa o – in effetti – riferita ad un’altra circostanza , per esempio l’ammonizione di un proprio giocatore? Questa “spettacolarizzazione” è pura falsificazione della realtà, l’equivalente di un fotomontaggio.
    Ma non si tratta solo dell’uso dei replay.  Molte volte, nell’accentuazione di un tema (attaccante-difensore), di un personaggio (un allenatore, Ronaldo, un arbitro), di una situazione (la ripetizione esasperata di un gol),  si tende a  trasformare lo stadio in uno studio televisivo, con i suoi personaggi, i suoi attori, in mano ad un abile sceneggiatore, capace di mutuare dalla realtà pretesti per un suo personale film. E’ significativo che, nell’attualità’ sportiva, sia sempre più frequente l’uso di clip e di high lights, mentre si stanno sperimentando sottofondi musicali in piena telecronaca.

    Un altro processo di spettacolarizzazione si produce sull’asse temporale della ripresa; esattamente sul ritmo della ripresa.
    Una partita lenta, la “melina” di gioco, il cosiddetto “tempo morto” (che spesso è tutt’altro che morto, anzi è affatto voluto e fa parte del gioco) viene spesso interpretato con una frequenza di stacchi che alterna freneticamente totali, campi stretti e primi piani, quasi che il ritmo della ripresa possa alleggerire la lentezza del gioco. Ho condotto anni fa un piccolo esperimento per capire se il ritmo della ripresa potesse influire sulla sensazione che lo spettatore ha del ritmo della partita. Il risultato fu che la regia, moltiplicando le inquadrature, offriva maggiori o minori informazioni, ma nello spettatore non cambiava la sensazione della lentezza della partita.
    I ritmi frenetici di inquadrature non necessarie sono artifici spettacolari: tentativi di enfatizzare ad ogni costo una partita lenta. Una sorta di dovere d’ufficio (se non l’esibizione delle mere capacità tecniche del regista).

    Infine vorrei accennare alla contestualizzazione dell’evento partita  nel palinsesto televisivo. Non più di venti anni fa, era la Signorina Buonasera ad annunciare la diretta della partita e l’apertura sul campo era, al massimo, preceduta dalla sigla Eurovisione. Con la stessa sigla si chiudeva la trasmissione allo scadere del novantesimo minuto.
    Oggi il palinsesto televisivo è costruito intorno alla partita e una regia di integrazione personalizza la partita stessa. Il pre-partita crea l’aspettativa spettacolare con le dichiarazioni dei protagonisti, gli allenamenti, i precedenti tra le due squadre, l’arrivo dei tifosi e dei giocatori allo stadio; la partita (quando e’ confezionata da altri)  viene  integrata da immagini del proprio pubblico, delle proprie panchine, del proprio allenatore; le azioni possono essere riviste da propri replay e da camere dedicate; il post-partita è una spettacolare play-analysis, in cui ogni azione viene rivissuta dagli stessi protagonisti, tradotta in immagini virtuali, riesaminata con nuove immagini.
    Compaiono statistiche, percentuali, grafici, animazioni, effetti…
    Altro che cronaca! Ce n’e’ abbastanza per uno spettacolo vero e proprio.
     

  • Quindi la spettacolarizzazione e’ un fatto negativo?

    Dobbiamo distinguere. Come abbiamo già visto, la partita televisiva è comunque una interpretazione della partita allo stadio, esattamente come una foto è una interpretazione del soggetto fotografato. La foto per il passaporto e’ fatta per riconoscere il titolare; è quindi funzionale al suo scopo.
    Allo stesso modo, la ripresa televisiva della partita è funzionale alle esigenze del broadcast che la commissiona o la produce; oppure è funzionale alla circostanza per cui viene prodotta (un campionato del mondo o una stracittadina); oppure è funzionale per gli spettatori a cui viene destinata (gli spettatori italiani, i tifosi della Roma, la città del campione), allo stesso modo che giornali nazionali e giornali locali, riviste scientifiche e di cronaca rosa rispondono a diverse e legittime esigenze.  Ritengo che lo sfruttamento televisivo di un avvenimento di cui si siano acquisiti i diritti non possa subire limitazioni non concordate.
    Personalmente lavoro per una Testata Giornalistica e tendo ad una ripresa di cronaca giornalistica della partita e assolutamente non di parte. Ma se il mio committente fosse un produttore di spettacolo (o se la stessa Testata mi chiedesse una partita spettacolarizzata) ne accentuerei i caratteri di fiction televisiva.

     

  • Fino a sconvolgerne la cronaca?

    Credo che non sia nell’interesse di nessuno. E’ negativa, come abbiamo visto, la spettacolarizzazione che oscura o impedisce la cronaca della partita. Sono convinto che la perdita di credibilità del racconto televisivo porterebbe alla svalutazione complessiva del prodotto. Ma in questo caso gli interessi del produttore non coinciderebbero più con quelli degli spettatori.

Giancarlo TOMASSETTI

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