Flashback - Coppa del Mondo 1990

COMPLETO
Premessa

Il Gruppo regia

PRIMA FASE: 1988
  • Le fonti
  • Televisione referente/televisione interprete
  • Ricerche
  • Il linguaggio di ripresa
  • La sperimentazione libera
  • Il modello di regia teorico
SECONDA FASE: 1989
  • Sperimentazione e addestramento
  • Risultati
  • Problemi specifici
  • Il seminario di Verona
TERZA FASE: 1990
  • La linea editoriale
  • Le partite
  • Conclusioni


LA REGIA TELEVISIVA DELLA COPPA DEL MONDO 1990

Poiché non mi è possibile, in poco spazio, descrivere il processo di idee che ci ha portato al modello di regia per Italia ‘90, cercherò di riassumere per punti le tappe che ritengo più significative, sperando alla fine di aver offerto un quadro generale.

I parametri a cui avremmo dovuto riferirci,  impostando un modello di regia per il Mondiale 1990, erano più d’uno: i precedenti storici, il livello di produzione attuale del calcio, il progresso delle tecnologie di ripresa, il particolare tipo di audience dell’avvenimento.

Il Gruppo di regia di cui ero il coordinatore impostò un programma in tre fasi: un periodo di ricerca per il 1988; un periodo di sperimentazione e addestramento, che durò tutto il 1989; la scelta del modello di ripresa, secondo la linea editoriale aziendale, nel 1990.

 

PRIMA FASE: 1988

Noi non siamo riusciti a definire le caratteristiche della audience di un mondiale di calcio. Per capire i problemi di ripresa, io avevo raccolto i documenti che riassumevano i termini del dibattito internazionale sulla copertura televisiva del calcio: dalla First Convention di Buenos Aires del 1977, alla documentazione della TVE per il Mondiale 1982, agli atti del Seminario di Berlino del 1987, al quale avevo partecipato. In quella occasione avevo proposto una semiotica della partita in TV, una descrizione delle inquadrature e dei modi di realizzazione delle sequenze di una partita televisiva, che sarebbe poi diventata il supporto teorico del nostro modello di regia.

Il problema centrale nel dibattito sulla copertura televisiva della partita può essere riassunto nella dicotomia televisione referente/televisione interprete. Questo contrasto sottintende il ruolo che la televisione deve assumere rispetto all’avvenimento: se essa debba considerarsi una finestra aperta sul campo di calcio, ininfluente o supposta tale, oppure se la televisione abbia il compito di interpretare, e con quali limiti, la partita. Il dilemma ha ricchissime implicazioni e pone problemi concreti alla regia: la unicità o la molteplicità dei punti di visione (quindi numero e posizione delle telecamere), la prevalenza dei contenuti informativi o di quelli emozionali nella partita (quindi uso delle telecamere e dei replay), la funzione dei contributi grafico-informatici, il ritmo di ripresa, il ruolo del telecronista.

Alcuni di questi problemi furono esposti a Capri, nel giugno 1988, in un incontro con la stampa sportiva estera, organizzato dal COL (Comitato Organizzatore Locale). Durante tutto il 1988, il Gruppo avviò una serie di ricerche specifiche, finalizzate alla realizzazione del mondiale. Acquisimmo una bibliografia, fu costituita una videoteca, riflettemmo su alcuni aspetti della storia del calcio in rapporto alla televisione, ipotizzammo l’uso di tecnologie avanzate, facemmo un corso sulla ripresa audio stereofonica, affrontammo i problemi legati alle riprese in Alta Definizione, cominciammo a trattare i problemi di grafica, informatica, play analysis, si studiarono le reazioni del pubblico e le caratteristiche degli impianti sportivi in rapporto alla ripresa.In questo contesto, il linguaggio di ripresa era stato attentamente studiato: In quel momento la nostra ricerca distingueva tra:
  • gioco con palla in movimento, da realizzare con le sole camere posizionate sull’asse centrale del campo,
  • gioco con palla ferma, che consente una maggiore articolazione del linguaggio, con inquadrature provenienti da più camere;
  • ripresa del gioco, che può avvenire partendo da camere non centrali e si riporta poi nella condizione  del gioco con palla in movimento.
Distinguemmo inoltre  tra gioco collettivo e gioco individuale, nonché tra gioco e posizione in attesa della palla, individuammo i protagonisti di ogni azione di gioco, in campo e fuori campo.Alla fine avevamo il nostro alfabeto di ripresa. Parallelamente a questa ricerca, abbiamo condotto una sperimentazione libera con 3 o 4 camere e 1 o 2 replay, usando singolarmente camere o gruppi di camere  come parti di un ipotetico impianto completo. Questi sono alcuni esempi di posizione di camere:

Alla fine dell’anno  presentammo il nostro modello di regia teorico (non sperimentato) con un impianto di base di 11 telecamere e 4 replay.


1 - Quadro d'insieme del gioco
2 - Campo stretto
3 - Camera intermedia d'attesa o dell'arbitro
4 e 5 - Personality
6 e 7 - Camere ai 16 m.
8 e 9 - Camere dietro porta
10 - Camera in diagonale
11 - Camera mobile

 

SECONDA FASE: 1989

Sperimentazione e addestramento sono due facce della stessa medaglia. Si trattava di verificare con un impianto-pilota il modello di regia teorico e di addestrare a quel modello il personale operativo: registi, cameramen, mixer, replaysti.

I ruoli delle camere erano stati concordati tra i registi e furono esposti in un documento dell’inizio ‘89. In dettaglio, questa era la nostra disponibilità di immagini dentro il rettangolo di gioco:
  • il totale e il campo stretto di ogni azione;
  • per il fallo: chi aveva subito il fallo, chi lo aveva commesso e l’arbitro;
  • per la punizione: il giocatore che tira, la barriera, il portiere, il giocatore che si smarca;
  • per il rilancio: il giocatore che rilancia e l’attesa della palla;
  • per il fallo laterale: il giocatore che ha mandato fuori la palla, il giocatore che la rimette, l’attesa della palla;
  • per il corner : il giocatore che tira, l’attesa in area, i marcamenti;
  • per il tiro in porta o il gol: il giocatore che tira, il portiere, chi ha fatto l’assist o il difensore.
Fuori del rettangolo di gioco, le camere non impegnate nell’azione prevedevano guardalinee e pubblico; una camera mobile garantiva panchine e sostituzione dei giocatori.

L’addestramento fu organizzato con vere e proprie unità didattiche di 2 o 3 giorni ciascuna, con l’uso di materiali audiovisivi preparati per l’occasione. Le circa 50 partite che consentirono questi stages, abituarono i cameramen all’alfabeto delle immagini e i registi alla grammatica della sequenza. Il risultato finale dell’addestramento fu l’operatività del modello di regia teorico.

Con la sperimentazione definimmo meglio l’impianto e il linguaggio di ripresa. L’impianto fu completato con due camere basse a lato delle porte. Il nostro fronte di ripresa si era allargato a 180°.


Sistema definitivo: 10/11 telecamere

Avevamo due o tre modi di vedere il gioco con la palla in movimento. L’azione di gioco in area poteva essere seguita con la camera ai 16 metri, con una sequenza che passa dal totale centrale (2) al totale ai 16 metri (6 o 7) tramite un campo stretto (1, oppure 4 o 5).

A palla ferma, tutti i protagonisti dell’azione erano sotto le telecamere. Il rilancio dei portiere poteva essere realizzato  in sei o sette modi; la preparazione di una punizione consentiva inquadrature inusuali sulla posizione dei giocatori in campo; dopo il gol eravamo in grado di offrire tutti i protagonisti, incluse le reazioni delle panchine e del pubblico. Inoltre, con l’inserimento delle due camere a lato della porta, il linguaggio di ripresa si arricchiva di altre possibilità: il valore di informazione delle inquadrature in totale, provenienti da camere alte e distanti dal terreno di gioco, poteva essere alternato alla valenza emotiva delle inquadrature in campo stretto di camere a livello del terreno e vicine all’azione di gioco.

A fronte di problemi specifici, quali la ripresa audio stereofonica, l’informatica e grafica, l’alta definizione e gli impianti sportivi, costituimmo quattro gruppi di lavoro.

La ripresa audio stereofonica si imponeva in rapporto alle riprese in alta definizione e per il miglioramento delle riprese audio in generale. Molto spesso negli stadi si collocano i microfoni per riprodurre la  “condizione dello spettatore in tribuna”, piuttosto che per dare specificità di suono ad ogni inquadratura. La Direzione Tecnica sperimentò un sistema di ripresa con 11 microfoni collegati ad una pulsantiera e risolse il problema nella maggior parte degli stadi.

Il progetto grafico-informatico poteva  contare su tecnologie avanzate.

L’informatica assunse la statistica e la grafica trovò nel movimento il proprio elemento caratterizzante. Dato statistico e movimento grafico dovettero poi misurarsi con i tempi del calcio che, come si sa, sono stretti ed obbligati.

Le riprese in HDTV erano già un punto di forza della RAI. Cambiando i limiti tecnologici, cambiano non solo i modi di ripresa ma la filosofia stessa della presenza della televisione in uno stadio. L’ambivalenza televisione referente/televisione interprete è tipica dall’attuale standard di ripresa; superato questo, si supera anche quella e la ricerca deve cominciare da capo.

Molti stadi di Italia ‘90 ci vennero consegnati appena in tempo per la Coppa del mondo. Noi abbiamo posizionato le telecamere guardando le planimetrie, senza poter curare direttamente correttezza di posizione e pulizia delle immagini. Non credo però che, se gli stadi fossero stati pronti prima, avremmo potuto migliorare di molto i risultati: l’architettura degli impianti sportivi non tiene sufficientemente conto delle esigenze televisive.

Su questi ed altri temi si parlò nel Seminario che la RAI organizzò a Verona per esporre il sistema di ripresa delle partita per Italia ‘90. Il confronto con le esperienze degli altri Paesi ci confermò l’evoluzione del linguaggio televisivo del calcio e la nostra generale impostazione di ripresa. Il formato di trasmissione fu fissato in un pre-partita di 13 minuti ed un post-partita di 3, comprensivi di flash-interviews. Alla fine dei due tempi,  la RAI avrebbe mandato in onda una sintesi delle azioni più significative, corredate di rallenty, dati statistici e telebeam per alcuni casi.

 

TERZA FASE: 1990

Conclusa la fase di sperimentazione e di addestramento, nel febbraio 1990 vennero costituite le 5 équipes di produzione che avrebbero lavorato nei 12 stadi. Ogni regista ebbe 4 o 5 partite per mettere a punto il sistema di ripresa   secondo una linea editoriale che la direzione dell’azienda ci espresse nel corso di riunioni settimanali.

L’impianto di base fu definitivamente fissato in 12 camere e 5 replay; la continuità della partita e la completezza della informazione furono indicate come obiettivi prioritari della ripresa. A questo fine, venne resa più morbida la inquadratura del totale di gioco e si cercò la giusta frequenza degli stacchi tra le camere. La partita risultò più fluida e le immagini vennero selezionate con più cura. Venne riesaminata la funzione della camera intermedia (o “d’attesa” o dell’arbitro) e gli venne affidato come compito prioritario di documentare le decisioni del direttore di gara. Particolarmente curata fu poi la regia dei replay, di cui si stabilì opportunità, tempi e modalità di messa in onda. Infine, la telecronaca della partita fu vista nel contesto della ripresa sonora stereofonica.

Per la partita inaugurale e per quelle della fase finale del torneo fu prevista una dotazione maggiore di mezzi tecnici. Ogni  regista arricchì gli stadi in cui lavorava secondo le possibilità che essi consentivano.

Noi non avevamo avuto il permesso di collocare una minicamera tra le maglie della rete, per avere in grandangolo l’intero specchio della porta ; né, dato il ritardo nella ristrutturazione degli stadi, avevamo potuto prendere in considerazione in modo sistematico l’uso di moving cameras: carrelli, dolly, sky-cam. Avevamo una steady-cam per le presentazioni delle squadre e utilizzammo l’elicottero per vedere dall’alto l’impianto sportivo; furono impiegate camere su testate telecomandate e, in uno stadio, fu possibile collocarne una in posizione azimutale rispetto al centro campo; altre camere furono usate su aste telescopiche; in due stadi riuscimmo ad utilizzare un carrello con un braccio di sei metri per il rilancio del portiere e l’azione in area; alcune camere furono posizionate fuori  degli stadi, per cogliere le reazioni della città dopo la partita.

Noi non abbiamo dati statistici circa l’impatto delle riprese sull’immensa platea televisiva di Italia ‘90. Le valutazioni che abbiamo raccolto tra i rappresentanti degli organismi televisivi presenti in Italia e dal pubblico e la stampa italiana sono state generalmente positive.

Probabilmente il nostro mondiale non ha avuto unicità di linguaggio in tutti gli stadi. Leggere differenze di  posizione delle telecamere, diverso valore delle inquadrature, impostazioni di ripresa non univoche e diversa sensibilità dei registi, hanno favorito alcune diversità di racconto. Sul fronte delle (non molte) critiche, si sono contrapposte questioni di misura: eccesso di dettagli per alcuni, piattezza di racconto per altri; pochi replay o troppi replay, a seconda dei punti di vista. L’appunto può essere giusto, perché riferito a partite realizzate da registi diversi. Io credo però che non sia  estranea a questa critica la famosa antinomia tra televisione referente e televisione interprete. Ritengo che se ne debba  uscire, contrapponendo ad essa il criterio della congruenza tra ripresa ed azione di gioco.

E’ con questo criterio che debbono essere valutate le innovazioni di linguaggio che questo mondiale ha introdotto rispetto ai precedenti: innanzitutto l’abbandono della postazione centrale come unico punto di vista dell’azione di gioco. Il dibattito deve restare aperto, ma credo che la riflessione sul calcio televisivo, l’acquisizione delle tecnologie di ripresa, la costruzione del linguaggio e il racconto della partita, siano da ascrivere tra i risultati positivi di questo mondiale.

Roma, agosto 199O.

Giancarlo Tomassetti
 

Giancarlo TOMASSETTI

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