IL LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI

COMPLETO


La ripresa televisiva in diretta della partita di calcio e dello sport in generale non produce saggistica (e neppure giornalismo, se non di cronaca o di colore).

Non c’è stata teoria fino agli anni 70’ , non solo sul linguaggio dì ripresa, ma neppure sul numero, la posizione e il ruolo delle telecamere. Solo in quegli anni, sull’onda della linguistica e dello strutturalismo a cui si ispirava certa critica cinematografica, anche la televisione fu investita dai problemi della lettura e del significato delle immagini.

Da quel momento, chi per professione doveva rappresentare con le immagini gli eventi sportivi (o la loro realtà fenomenologica, interpretata nei suoi parametri spaziali e temporali), non poté non coniugare il progresso delle tecnologie di ripresa con le scarse e preziose fonti sui modi di fare la partita. Ma a che punto erano le teoriche sull’argomento?

Le fonti

Il campionato del mondo del 1978 in Argentina ci aveva offerto, con la vittoria della squadra di casa, anche la FIRST INTERNATIONAL CONVENTION FOR DIRECTORS OF TV PROGRAMS, un seminario in cui vennero per la prima volta esaminati i problemi più evidenti della ripresa televisiva del calcio. Ci resta una sintesi delle relazioni sull’ argomento.

Horst Seifart, ricercatore e maggior studioso del calcio televisivo, è stato a sua volta il promotore del convegno SPORTS PRESENTATION ON TV: SOCCER, che si è tenuto a Berlino nel 1987, in preparazione degli Europei di calcio dell’anno successivo.

Al seminario si confrontarono due scuole, esemplificate in “tedesca” e “inglese “, che esprimevano due tendenze di fondo di realizzare la partita televisiva e che si erano consolidate in non più di un decennio. Quale ruolo doveva svolgere la televisione nella ripresa in diretta della partita di calcio? Doveva porsi come spettatrice dell’evento, finestra aperta sul campo, neutrale per quanto possibile sui tempi e sui modi di rappresentazione della partita; ovvero, doveva interpretarla (cosa che non può non fare) e spettacolarizzarla con personaggi scelti da un regista-sceneggiatore e tempi dettati da un montaggio in diretta?

Esemplificherò dicendo: televisione che riferisce della realtà o televisione che interpreta la partita? Televisione referente o televisione interprete?

Nel mio lavoro, in sala regia, questo sembrerebbe essere un problema. Debbo, quando la palla va in fallo laterale o il centrocampo fa melina, riempire il “tempo morto” con facce di protagonisti, alternando inquadrature, alzando con gli stacchi il ritmo della ripresa? Oppure devo rispettare quel tempo morto perché esiste e, anzi!, è tutt’altro che morto, è affatto voluto e fa parte integrante dello svolgimento del gioco?

E ancora: il ritmo della ripresa influisce per caso sulla percezione del ritmo della partita? Riesce a falsificarlo o lo spettatore continua a distinguere bene tra finzione televisiva e realtà?

Per Italia ‘90 impostai a Verona un SEMINARIO SULLA RIPRESA TELEVISIVA DELLA COPPA DEL MONDO, perché le “scuole” si confrontassero e gli italiani esprimessero la linea del proprio Mondiale.

Aderimmo sostanzialmente alla scuola tedesca, alla televisione referente.

Ritengo però che il dato caratterizzante delle nostre riprese (o, almeno, l’obbiettivo per il quale io ho lavorato) fu non tanto e non solo quello di affidare alla televisione referente il rispetto della realtà della partita, bensì di imporre un criterio di “congruenza” tra azione di gioco e inquadratura, tempo di gioco e tempi di ripresa.

Il fluire del gioco non doveva essere interrotto, l’azione collettiva reclamava il totale, il dribbling voleva il campo stretto. Solo ad azione conclusa poteva partire il replay e - possibilmente- non doveva coprire la ripresa del gioco.

Alla televisione referente sostituimmo la televisione congruente. Era un superamento delle scuole?

Il linguaggio

Alec Weeks, decano dei registi inglesi firmò la finale Inghilterra­Germania del ‘66, utilizzando per la prima volta più di 8 telecamere. Prima di andare in pensione ci ha regalato quattro formidabili paginette dedicate all’arte del calcio televisivo (The art of televising soccer). A riassumerne il senso valgano le tre righe iniziali:

The art of televising football is to allow the viewer to see the “flow”of the game and at the same time to bring into the home the dramatic excitement of the players’ involvement.
(L’arte della ripresa televisiva del calcio è di consentire la visione del “fluire” del gioco e nel contempo di portare nelle case le emozioni dell’impegno dei giocatori).

Credo che non si possa esprimere con maggior chiarezza quale debba essere lo scopo della regia televisiva della partita di calcio.

Privo di studi sul linguaggio ma forte della sua esperienza di lavoro, Alec Weeks costruisce trent’anni fa il primo modello di partita televisiva moderna, avendo come criterio di base la distinzione tra camere per il gioco e camere per i giocatori.

Nel suo contributo scritto, dopo le affermazioni di principio, passa a posizionare e a distribuire compiti a ciascuna camera, perché non succeda che alla fine di una azione ci siano cinque inquadrature sullo stesso soggetto e nessuna sugli altri protagonisti.

Tutti i registi europei, messicani e sudamericani della sua e delle successive generazioni hanno ripetuto l’esercizio e ricostruito la sequenza, impostando e consolidando il linguaggio di ripresa.

Da Inghilterra-Germania mondiale del ‘66 , a Inghilterra-Germania europeo di alcuni mesi fa sono trascorsi esattamente trent’anni. Oggi il linguaggio della partita in diretta è una solida convenzione internazionale, frutto del lento e costante perfezionamento del linguaggio che si è sviluppato parallelamente e in forza delle tecnologie della ripresa televisiva.

La tecnica

Se il mondiale 1966 segna convenzionalmente la nascita del calcio televisivo moderno, la storia dei Campionati del mondo in diretta televisiva comincia in Svizzera nel 1954 con la finale Germania-Ungheria. Prima di allora, dal 1930 al 1950 (Uruguay, Italia, Francia, Brasile) era disponibile solo una copertura di cortometraggi. Anche nel 1962 in Cile, la copertura era di tipo cinematografica e, mancando il satellite, le pellicole venivano trasportate in Europa con i voli di linea.

Le ottiche televisive utilizzate per le riprese erano fisse. Sulla telecamera era montata una torretta con tre obiettivi di diversa lunghezza focale.

Oggi ne deduco che il binomio linguistico “camera per il gioco-camera per il giocatore” altro non fosse che il punto d’incontro obbligato tra le ottiche fisse di due telecamere, appaiate in tribuna perché una di riserva all’ altra. Lo zoom, che addolcisce il movimento e consente all’ operatore di interpretare lo spazio di gioco, nasce negli anni ‘60. Solo nel 1970, ai Campionati del mondo messicani si vedono le prime immagini a colori, ma la diffusione commerciale dei nuovi apparecchi televisivi avviene in previsione dei Mondiali argentini del 1978. Con questi finalmente assistiamo allo spettacolo del rallenty in diretta, ma l’effetto - avendo origini cinematografiche - non è nuovo. Negli stessi anni appaiono i primi contributi grafici e informatici.

Posizione e angolazione delle telecamere rispetto al terreno di gioco vengono studiate attentamente. Si conviene che una buona ripresa non si possa fare con meno di 6 telecamere e che la principale sia posizionata con un angolo di circa 19 gradi rispetto al centro del campo e che quelle dietro la porta a 13 o 15 gradi rispetto al dischetto di rigore. Le telecamere per i giocatori, le personality cameras, sono posizionate al livello del terreno e intervengono solo a gioco fermo.

Il Mondiale messicano dell’86, rovinato dalla tragedia del terremoto nei collegamenti internazionali, è il risultato compiuto di quella lenta e progressiva chiarificazione dell’azione di gioco. Nascono le telecamere ai 16 metri per vedere il fuorigioco, quelle dietro la porta per vedere il tiro dal punto di vista del portiere, quelle sul lato opposto del campo per cogliere il gol di mano di Maradona. Ogni azione è ripetuta da quattro replay diversi.

Una parallela evoluzione si ha nella ripresa del suono e nel criterio di posizionare i microfoni. Se non avessimo apparecchiature sensibili ai bordi del campo, gli effetti sonori della folla in tribuna sovrasterebbero quelli che si producono sul terreno di gioco e i giocatori sarebbero muti come pesci in un acquario. C’è già una grande differenza tra le immagini sbiadite dei primi televisori in bianco e nero e quelle ben definite dei televisori a colori; ma la differenza è decisiva se, alle immagini a colori, si accompagnano gli effetti sonori del campo.

Intanto, con lo zoom, il colore, il rallenty, il suono e la grafica, il telecronista ha totalmente modificato il modo di fare la telecronaca.

Oggi

Come è diversa, più chiara e coinvolgente la partita di oggi.

Al Seminario di Berlino dell‘87 , avevo preso in esame la partita televisiva storicamente esistente: tentai di codificarla, catalogando le inquadrature e numerandole, ricostruendo poi le possibili sequenze di ripresa che risultavano dalla combinazione delle inquadrature. (I curiosi ne troveranno traccia scritta e fotogrammi in un saggio pubblicato in Prometeo, trimestrale di scienza e storia, del marzo ‘89). L’impostazione del mondiale italiano partì da quella ricerca, ma oggi quello schema teorico risulta superato.

L’idea delle inquadrature come alfabeto e della loro coniugazione come grammatica presuppone le telecamere “davanti” all’evento. Totali e campi stretti, campi e controcampi, sono il risultato linguistico di telecamere poste all’esterno dell’avvenimento.

Ma le riprese delle gare sportive hanno nel frattempo fatto sempre più largo uso di telecamere mobili, posizionate all'interno dello spazio in cui la gara si svolge. Oggi ci e’ consentito di seguire la corsa dall’abitacolo della macchina, il nuotatore dal fondo della piscina, il centometrista dall’ipotetica nona corsia, il nuoto sincronizzato da sopra o da sotto il pelo dell’ acqua o addirittura di entrare in acqua con il tuffatore. Le Olimpiadi di Barcellona e soprattutto di Atlanta hanno offerto un campionario di questi esempi.

E’ successo dunque che, alla concezione di uno spazio televisivo configurato dall’esterno (e che chiamerei euclideo), si è andato sostituendo lo spazio creato da una telecamera che si muove all’interno del campo, accanto all’ atleta, in continuo movimento con lui.

L’evoluzione del linguaggio introdotto dalle telecamere mobili si lega strettamente all’ evoluzione tecnica e - in particolare - alla possibilità di miniaturizzare le telecamere e di collocarle più facilmente su supporti mobili.

La telecamera mobile comporta una sorta di destrutturazione del linguaggio tradizionale che investe molte discipline sportive. Questa evoluzione tocca solo marginalmente il calcio, dove non è consentito entrare in campo con le telecamere e, quelle normalmente usate, sono sistemate sugli spalti a simulare i punti di vista degli spettatori.

Ciò nonostante, il binario per seguire il giocatore sulla fascia laterale, il braccio dietro la porta per scoprire il campo sul rilancio del portiere, la steady-cam che gira intorno al giocatore sul calcio d’angolo, la micro-camera posizionata tra le maglie della rete, quasi in soggettiva del portiere:tutte queste risoluzioni ed altre che si possono immaginare hanno arricchito il sistema di ripresa nella direzione della “telecamera che si muove con il giocatore”.

Non è la rivoluzione. Però, domani forse sarà possibile e conveniente ancorare una sky-cam o bird-cam su cavi d’acciaio che la guidino per tutto il campo a volo d’uccello. E questa sola telecamera potrebbe sostituire tutte le altre e consentire un’emozione nuova del gioco del calcio.
 

Giancarlo TOMASSETTI

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